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Nella Camera di consiglio del 22 marzo 2017, la Prima sezione Penale della Corte di cassazione si è pronunciata sul ricorso promosso avverso l’ordinanza n. 299 con cui il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, il 20 maggio 2016, aveva negato a Salvatore Riina il differimento della pena ai sensi degli articoli 146, n. 3 e 147, n. 2, c.p. e, in subordine, l’esecuzione della pena in detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, della L. n. 354/1975 (Norme sull’Ordinamento Penitenziario). Nello specifico, con riferimento ai presupposti per il differimento della pena, il Tribunale aveva ritenuto in primo luogo che le gravi condizioni di salute del detenuto non fossero incompatibili con lo stato di detenzione, essendo Riina sottoposto a molteplici trattamenti terapeutici e monitoraggi costanti, nonché a ricoveri tempestivi in caso di crisi più acute. La trattabilità delle patologie in carcere, nonché l’idoneità della struttura ad apprestare interventi urgenti in caso di aggravamento della condizione cardiaca del soggetto, dunque, portavano ad escludere il superamento del senso di umanità che deve sempre connotare la pena, essendo, peraltro, il rischio di un evento cardiovascolare infausto comune a tutti gli individui, anche in stato di libertà. Il Giudice bolognese aveva poi ulteriormente sostenuto il proprio rigetto operando un bilanciamento tra le condizioni di salute, pur gravi, di Riina, ed esigenze di sicurezza e incolumità pubblica. L’altissimo tasso di pericolosità del detenuto, infatti, non consentiva di escludere il pericolo di recidiva, e la posizione apicale rivestita nell’organizzazione criminale “Cosa Nostra” non avrebbe richiesto una particolare prestanza fisica per la commissione di ulteriori, gravissimi reati in qualità di mandante. Da ultimo, il Tribunale di Sorveglianza non aveva ritenuto rilevanti per la decisione le inadeguate condizioni della Casa di reclusione di Parma - in cui Riina è detenuto - lamentate dalla difesa, limitandosi, in merito, ad un monito alla Direzione dell’istituto a porre rimedio alle deficienze strutturali, ove effettivamente riscontrate. Con la sentenza n. 966 del 2017, pubblicata il 5 giugno, la Prima Sezione Penale della Corte di cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e rinviato al Tribunale di Sorveglianza di Bologna per un nuovo esame, non ritenendo il provvedimento sorretto da una adeguata motivazione. In particolare, con tale pronuncia la Cassazione ha ribadito alcuni principi che devono sorreggere l’esecuzione della pena in conformità a quanto richiesto dall’art. 27 della Costituzione e dall’articolo 3 della CEDU, e rispetto ai quali grava sul Magistrato di Sorveglianza un onere di motivazione più specifico e approfondito. In primo luogo, sostiene la Suprema Corte che la pena è idonea a risolversi in un trattamento inumano e degradante non solo quando la permanenza in carcere sia disposta per soggetti affetti da patologie implicanti un pericolo per la vita, ma anche nei casi in cui lo stato morboso o lo scadimento fisico siano capaci di “determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria”. In sostanza, esiste un “diritto di morire dignitosamente” che deve essere assicurato anche al ristretto, e rispetto al quale il provvedimento che disponga il mantenimento in carcere di un condannato anziano e affetto da gravi patologie deve espressamente motivare. In secondo luogo, la Prima sezione Penale ha sancito che le condizioni strutturali degli istituti penitenziari non possono essere considerate irrilevanti nella valutazione circa la compatibilità dello stato di detenzione con le condizioni di salute del detenuto. Al contrario, tale valutazione deve essere effettuata in concreto, anche con riferimento alle particolari caratteristiche dei luoghi di restrizione. Il Tribunale di Bologna, pertanto, avrebbe dovuto rinviare la propria decisione all’esito di un accertamento volto a verificare l’effettiva esistenza delle lamentate deficienze strutturali, e l’idoneità delle medesime a superare quel livello di dignità dell’esistenza che deve essere assicurato anche in carcere. Da ultimo, la Cassazione ha ritenuto carente la motivazione dell’ordinanza impugnata anche con riguardo alla valutazione circa l’attuale pericolosità del detenuto... (segue)
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