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Tra le molteplici novità introdotte dal Legislatore statale della 241 nell’ormai lontano 1990, quella maggiormente precorritrice e, per certi aspetti, addirittura visionaria è stata - con ogni probabilità - la DIA (oggi – come è noto - SCIA). Se è vero, infatti, che in determinate legislazioni di settore un meccanismo analogo a quello della DIA era presente già da svariati decenni, è altrettanto vero che l’introduzione di un istituto così peculiare all’interno della prima legge generale sul procedimento amministrativo ha rappresentato, per il nostro ordinamento, una rivoluzione quasi copernicana. Nel 1990 – in un contesto ancora profondamente imperniato da concezioni atto-centriche dell’attività amministrativa – la proposta di un peculiare episodio di esercizio di potere che, per la sua conclusione, contemplasse fisiologicamente due possibili esiti, del tutto opposti tra di loro [un “nulla” (per il caso in cui l’attività di verifica posta in essere nel corso del procedimento avviato in base alla denuncia del privato avesse confermato l’esistenza di presupposti e requisiti da quest’ultimo dichiarati) ovvero un provvedimento (per la diversa ipotesi di un’insanabile discrasia tra la situazione reale ed il complesso di requisiti e presupposti normativamente definiti)] rappresentava una scelta di profonda rottura con una consolidata tradizione. A supporto di quanto appena accennato potrebbero essere addotte numerose argomentazioni; una fra tante: quella a cui si fa riferimento era ancora una fase (e lo sarebbe rimasta per i successivi dieci anni) nella quale – in virtù dell’imperante impianto atto-centrico che contraddistingueva anche il processo amministrativo – nelle ipotesi di silenzio non significativo dell’Amministrazione, la tutela del cittadino doveva necessariamente passare per l’impugnazione di un simulacro di provvedimento al quale, convenzionalmente e mediante una fictio juris, veniva attribuito un significato di rigetto dell’istanza presentata dal cittadino medesimo. Sembra passato un secolo, eppure sono trascorsi solo 17 anni. All’epoca i commentatori più accorti – a proposito della DIA – introdussero il termine “deprovvedimentalizzazione”. Una locuzione non esattamente orecchiabile (se non addirittura cacofonica) ma che appariva (come appare) più efficace e congrua rispetto a tutti gli altri inquadramenti teorici contestualmente o successivamente proposti e che aveva (come conserva ancora) il merito di fotografare una novità che resta tale anche dopo quasi trent’anni: la possibilità che l’esercizio di un potere pubblicistico, che passa inesorabilmente attraverso un procedimento amministrativo, possa fisiologicamente prescindere sia dall’emanazione di un provvedimento che dalla produzione di effetti provvedimentali. La dichiarazione del privato (oggi segnalazione certificata) si distingue ontologicamente dalle istanze di parte che possono determinare l’obbligo di apertura di un procedimento ma, di fatto, essa comporta automaticamente l’avvio di un procedimento di accertamento da parte dell’Amministrazione ricevente. Di più; sempre seguendo il parallelismo, mentre non tutte le istanze dei privati fanno nascere l’obbligo in capo all’Amministrazione ricevente di avviare un procedimento amministrativo, tutte le segnalazioni certificate obbligano l’Amministrazione in tal senso... (segue)
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