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NUMERO 15 - 26/07/2017

 La giustizia sportiva italiana e comparata

Alla domanda “che cos’è la giustizia?”, Hans Kelsen, dopo avere affermato che questa domanda resta ancora oggi, come in passato, priva di risposta, sostiene che: «la giustizia è principalmente una possibile (ma non necessaria) qualità di un ordinamento sociale che regoli le relazioni reciproche tra gli uomini». Certo, ben altre cose dice e scrive Kelsen, con la sua nota profondità di pensiero, però questa breve ma succosa definizione di giustizia credo si adatti bene a quel particolare sistema di giustizia che qui intendo trattare: la giustizia sportiva, declinata nell’ordinamento italiano e comparato. E mi sembra rilevante specialmente nella parte in cui Kelsen scrive della giustizia quale “una possibile (ma non necessaria) qualità di un ordinamento sociale”: più avanti spiegherò meglio il perché. Certo, è pur vero che lo sport è oramai un fenomeno globale, sia sotto l’aspetto territoriale che contenutistico. Principi quali quelli di lealtà, solidarietà e sussidiarietà si radicano nel fenomeno sportivo, around the World, connotandolo di una forte valenza sociale, economica e giuridica. Ma è altrettanto vero che il sistema di giustizia sportiva non risulta essere omogeneo, come proverò a dimostrare attraverso l’analisi comparata. E nonostante vi sia un unico sistema di giustizia sportiva internazionale, esercitato attraverso il Tribunale Arbitrale Sportivo (TAS), con sede a Losanna, il quale però non trova piena emulazione negli ordinamenti nazionali. E nonostante, anticipo così quello che andrò sostenendo infra, l’istituto dell’arbitrato risulta senz’altro essere il mezzo più adatto ed efficace per la risoluzione del contenzioso in materia sportiva, in grado altresì di preservare l’autonomia dell’ordinamento sportivo. Per trattare il tema della giustizia sportiva, si è soliti partire da alcune tesi dottrinali sulla pluralità degli ordinamenti giuridici. E quindi, Santi Romano; poi Widar Cesarini Sforza e Massimo Severo Giannini. Una citazione di questi autori non manca mai quando si parla di sport e diritto. Le tesi sono quindi assai ben note, che non vale la pena qui di rievocarle. Certo, non sono tesi “datate”, per così dire; ma piuttosto devono semmai essere integrate con l’evoluzione che il diritto sportivo ha subìto nel corso degli anni. Sul punto, aveva ragione Giannini quando a conclusione di un suo ultimo scritto dedicato all’ordinamento sportivo, scrisse: «la materia non è, con ciò, esaurita». Lasciando quindi presagire nuovi e ulteriori sviluppi. Tanto per dirne una, il diritto sportivo non è più riducibile alla sola “settorializzazione” dell’ordinamento statale. Oggi in Italia, ma da tempo anche altrove (p.es. in Grecia all’art.16, comma 9, cost.), lo sport gode di una sua precipua codificazione costituzionale, sia pure nelle materie di competenze concorrente Stato/Regioni all’art. 117 Cost., che prevede l’”ordinamento sportivo”. Che, a mio avviso, va letto come attività sportiva dell’individuo e quindi si viene a collocare nell’ambito dei diritti di libertà e quelli sociali. Più diffusamente, all’art. 2 relativamente alle formazioni sociali; all’art. 3, sul pieno sviluppo della persona umana; all’art. 13 come libertà personale; all’art. 18, quale libertà di associazione. Ancora: il valore educativo dello sport richiama altresì l’art. 30 e l’esercizio dello sport, quale forma di benessere psico-fisico, esalta infine il diritto alla salute di cui all’art. 32 cost. Bastano questi pochi cenni di riferimento costituzionale per chiarire il fondamento costituzionalistico diffuso dello sport e, quindi, di un eventuale diritto/libertà di praticarlo. Avrebbe potuto e dovuto confermarlo la Corte costituzionale, che ha avuto anche l’occasione per farlo, magari anche sotto forma di obiter. Mi riferisco alla sentenza n. 49 del 2011, sulla quale tornerò più avanti, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tar Lazio, di un articolo della legge n. 280 del 2003 (che ha convertito un decreto legge sulle Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), con riferimento agli artt. 24, 103, 113 cost., nella parte in cui riserva al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi a oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo. Va altresì evidenziato come il diritto dello sport non ha più una dimensione locale, per così dire: infatti, la normativa nazionale è condizionata da quanto stabilito nel Trattato sul funzionamento della UE, specialmente gli artt. 6 e 156,  dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte Edu, nonché dalle politiche europee. Come quelle relative alla libertà di circolazione e di stabilimento – su cui il noto caso Bosman con l’equiparazione dell’altleta professionista a quella di qualsiasi altro lavoratore – e anche alla concorrenza, alla gioventù, alla politica audiovisiva e altro ancora. Questi alcuni cenni sulle nuove frontiere del diritto sportivo, che si manifesta sempre più come materia trasversale o, se piace di più, interdisciplinare, anche dal punto di vista dei contenuti e dei problemi giuridici, che si vanno sempre più espandendo e arricchendo al punto da orientare anche una specializzazione forense e, in parte, anche accademica. Per quanto riguarda la giustizia sportiva, va detto che questa deve avere una sua peculiarità, che la distingue da quella ordinaria: e cioè, che deve essere caratterizzata da strumenti di risoluzione delle controversie che siano più rapidi, più efficaci, più adeguati rispetto a quelli previsti dall’ordinamento statale. La tempestività nell’emanazione di una decisione giurisdizionale nel settore sportivo consente di rispettare le naturali regole del giuoco sportivo, connotate dalla velocità in sé delle attività agonistiche consistenti nelle puntuali sequenze delle partite di campionato, delle gare e dei tornei in generale. Sia pure in maniera tutt’altro che semplificata, mi pare che anche il legislatore, con la legge n. 280 del 2003 (che ha convertito un decreto legge, imposto dall’urgenza di regolare la giustizia sportiva), abbia voluto comunque valorizzare il sistema della giustizia sportiva, declinandolo all’interno del perimetro dell’autonomia dell’ordinamento sportivo. Prevedendo altresì un doppio grado di giurisdizione: uno endofederale, che viene affidato all’autonomia giurisdizionale delle singole Federazioni, e un altro esofederale, da svolgersi presso i giudici sportivi del CONI, attraverso una Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport competente per la cognizione finale delle controversie sorte all’interno dell’organizzazione sportiva. E riservando al giudice statale la possibilità di conoscere delle questioni sorte nel mondo dello sport dopo che si siano esauriti i gradi interni della giustizia sportiva... (segue)



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