Passando all’analisi degli specifici rapporti bancari e finanziari, va subito detto che gli intermediari creditizi britannici, in relazione alla posizione di paese terzo della Gran Bretagna, perderebbero il «passaporto europeo», con quel che ne consegue. Essi necessiterebbero, quindi, di una nuova licenza, il cui mancato possesso - con riguardo alle banche già insediate nell’Unione - potrebbe, al più, costituire oggetto di specifica sanatoria in sede di negoziati. Tale soluzione sembra, tuttavia, non proponibile a seguito di un recente parere dell’ESMA, nel quale si espongono alcuni criteri di carattere generale in ordine alla coerenza delle autorizzazioni concesse dalle autorità nazionali competenti per il trasferimento delle imprese finanziarie all’estero e, dunque, sulle forme di vigilanza cui queste ultime sono sottoposte. In particolare, ci si riferisce al divieto di riconoscimento automatico delle autorizzazioni esistenti (cui fa riscontro l’obbligatorio rilascio da parte delle autorità di controllo nazionali di nuove licenze), nonché ai rigorosi accertamenti sul rispetto e sulla efficace attuazione del diritto dell’Unione; contesto disciplinare nel quale è dedicata specifica attenzione al vaglio delle ragioni che giustificano il trasferimento degli operatori finanziari, in vista di possibili migrazioni di «società fantasma». La revoca del «passaporto europeo», comportando l’equiparazione degli intermediari finanziari britannici a quelli degli Stati terzi, li sottopone alla osservanza del cd. criterio di equivalenza ove intendano essere ammessi alla prestazione di servizi. Il regolamento (UE) n. 600/2014 disciplina la valutazione della ‘equivalenza’, la cui decisione è demandata alla Commissione (art. 1, comma 5). Viene puntualizzato, quindi, che le decisioni di cui trattasi «dovrebbero essere adottate solo se il quadro giuridico e di vigilanza del paese terzo prevede un sistema effettivo ed equivalente per il riconoscimento delle imprese di investimento autorizzate a norma dei regimi giuridici stranieri» (considerando n. 44); sicché, il provvedimento adottato dalla Commissione attesta che «il regime giuridico e di vigilanza del paese terzo garantisce che le imprese autorizzate nello stesso si conformino a requisiti giuridicamente vincolanti in materia di norme di comportamento e prudenziali che hanno un effetto equivalente ai requisiti enunciati» nel richiamato regolamento (UE) n. 600/2014, nella direttiva 2013/ 36/UE e nella direttiva 2014/65/UE (art. 47). Alla luce di tale complesso dispositivo si comprendono talune perplessità rappresentate in sede tecnica con riguardo al fatto che l’esigenza delle istituzioni finanziarie britanniche «to establish a fully authorised branch or subsidiary» nei paesi dell’Unione - nella prospettiva di un loro inquadramento alla stregua di ‘paese terzo’ qualora il Regno Unito non negozi un accordo con l’UE - si tradurrà necessariamente nella richiesta di una nuova autorizzazione ad operare previo ricorso al menzionato ‘equivalent regimes’. Trovano spiegazione, altresì, le ragioni poste a fondamento di un ipotizzabile avvio, da parte di alcune banche britanniche, di procedure di costituzione di filiazioni in paesi dell’Unione - come l’Irlanda e la Repubblica di Malta - i quali sono notoriamente disponibili a consentire celeri (e sburocratizzati) percorsi autorizzativi; potrebbe, infatti, essere questa la via seguita per essere in grado di operare, in regime di ‘libera prestazione di servizi’, negli Stati membri che, a seguito dei negoziati post-Brexit, potrebbero inquadrare dette istituzioni finanziarie come appartenenti a ‘paesi terzi’ e, dunque, sottoporre le medesime al relativo regime disciplinare... (segue)
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