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NUMERO 16 - 09/08/2017

 La tutela dei diritti post Brexit

Immagine correlataLa tutela dei diritti dei cittadini di Stati diversi dalla Gran Bretagna nei confronti di quest’ultima è sicuramente uno dei punti caldi delle negoziazioni aperte per consentire l’uscita della Gran Bretagna dall’ordinamento dell’Unione Europea. Deve ovviamente trattarsi di diritti che derivano dal diritto UE e ciò deve indurre ad un chiarimento preliminare sulla consistenza del corpo normativo del diritto dell’Unione europea. In estrema sintesi, si può ricordare che il diritto eurounitario si compone innanzi tutto delle norme recate dai Trattati e dai regolamenti e che è ormai pacifico che, per quanto sia un sistema basato su patti tra Stati sovrani, si caratterizza per il principio dell’applicabilità diretta o del cd effetto diretto, perlomeno con riferimento alle fonti suddette. Come noto, il sistema normativo è integrato anche dalle direttive, che devono però essere previamente recepite dallo Stato membro per poter avere efficacia nell’ordinamento interno di quest’ultimo. La principale conseguenza del fatto che le norme recate dai Trattati e dai regolamenti non si rivolgono soltanto nei confronti degli Stati, ma hanno efficacia immediata negli ordinamenti interni, specificità del sistema UE nel panorama del diritto pubblico internazionale, è che esse attribuiscono ai cittadini degli Stati membri diritti che il giudice nazionale è tenuto a tutelare. Il principio viene affermato per la prima volta nella storica sentenza Van Gend en Loos (Corte di Giustizia 5 febbraio 1963 resa in causa 26/1962 Nv Algemene Transoprt – en Expeditie Onderneming Van Gend en Los contro Amministrazione Olandese delle imposte) ed è ormai pacifico e consolidato : “la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani , ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli stati membri ma anche i loro cittadini. … Pertanto il diritto comunitario, indipendentemente dalle norme emanate dagli stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi”. Nel sistema UE, dunque, l’inadempimento degli obblighi gravanti sugli Stati membri può esser fatto valere innanzi alla Corte di Giustizia non solo dalla Commissione o dagli altri Stati membri, ma anche dai singoli direttamente interessati che a tal fine si siano previamente rivolti al giudice nazionale. I diritti individuali degli amministrati tutelati dal diritto UE, è la conclusione della sentenza Van Gend en Loos, non possono rimanere privi di tutela giurisdizionale e la Corte di Giustizia ne è il giudice naturale. Dopo la Carta di Nizza del 7 dicembre 2000, che grazie al Trattato di Lisbona del 3 dicembre 2007 ha acquisito la forza ed il valore giuridico propri dei trattati, il catalogo delle libertà e dei diritti fondamentali protetti dal diritto UE si è notevolmente arricchito. La protezione originariamente accordata alle libertà di circolazione delle persone, delle merci e dei servizi si è arricchita o è stata meglio e più estesamente declinata con il riconoscimento di una serie di diritti fondamentali, sostanzialmente ricalcata sul catalogo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che ha segnato il definitivo abbandono dell’ottica prettamente economica e mercantile di costruzione dell’Unione. Vale la pena ricordare, al riguardo, che, per esplicita richiesta proprio  della Gran Bretagna e della Polonia di chiarire i termini dell’applicazione della Carta di Nizza nei loro confronti, è stato appositamente redatto il “Protocollo n. 30 sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea alla Polonia e al Regno Unito” , il quale, dopo aver ricordato nei considerando che “la Carta ribadisce i diritti e, le libertà e i principi riconosciuti nell’Unione e rende detti diritti più visibili ma non crea nuovi diritti o principi” ha precisato che “La Carta non estende la competenza della Corte di giustizia dell'Unione europea o di qualunque altro organo giurisdizionale della Polonia o del Regno Unito a ritenere che le leggi, i regolamenti o le disposizioni, le pratiche o l'azione amministrativa della Polonia o del Regno Unito non siano conformi ai diritti, alle libertà e ai principi fondamentali che essa riafferma”; che “In particolare e per evitare dubbi, nulla nel titolo IV della Carta crea diritti azionabili dinanzi a un organo giurisdizionale applicabili alla Polonia o al Regno Unito, salvo nella misura in cui la Polonia o il Regno Unito abbiano previsto tali diritti nel rispettivo diritto interno”; e che “Ove una disposizione della Carta faccia riferimento a leggi e pratiche nazionali, detta disposizione si applica alla Polonia o al Regno Unito soltanto nella misura in cui i diritti o i principi ivi contenuti sono riconosciuti nel diritto o nelle pratiche della Polonia o del Regno Unito”. Ci si può in questa sede limitare a ricordare che quello sollevato nel Protocollo 30 è in realtà un problema generalmente posto dalla Carta nei confronti di tutti gli Stati aderenti all’Unione e che, per quanto possano essere comprensibili le ragioni che in quel dato momento storico hanno indotto Polonia e Gran Bretagna a volere un tale chiarimento, rimane a tutt’oggi difficile interpretare linearmente e dare un senso compiuto alle previsioni proprie del Protocollo n. 30 se dettate con esclusivo riferimento alla Gran Bretagna ed alla Polonia... (segue)



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