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NUMERO 16 - 09/08/2017

 Brexit e lo Stato sociale

Non c’è dubbio che una grande influenza nella scelta di Brexit da parte del Regno Unito sia stata determinata dall’insofferenza britannica nei confronti delle regole dell’Unione concernenti la protezione sociale dei cittadini “movers” all’interno dell’Unione (assicurata dai Trattati e dal diritto derivato), in particolare l’accesso degli stessi al sistema di protezione sociale britannico. Nella lettera di Cameron, sotto il paragrafo Immigrazione, si formulano, infatti, le seguenti richieste: che le nuove adesioni concernano Stati europei con economie convergenti con quelle degli Stati membri;

  1. che venga limitato, se non totalmente vanificato, il c.d. turismo sociale, cioè la circolazione delle persone finalizzata a fruire di benefici non correlati ad una situazione lavorativa, o alla richiesta di lavoro;
  2. che venga sancito il divieto di reingresso per i truffatori e per chi, servendosi del matrimonio simulato, punta ad acquisire il diritto di soggiorno sul suolo britannico;
  3. che venga ristretto il diritto di circolazione dei cittadini dell’Unione ed il correlato diritto di ottenere il medesimo trattamento giuridico, alle condizioni previste dalle norme dei Trattati, della Carta dei diritti fondamentali e della legislazione derivata, nel senso che solo gli stranieri che risiedono nel Regno Unito da un minimo di quattro anni possano accedere al sistema di protezione sociale e ottenere benefici fiscali, benefici abitativi, sussidi di disoccupazione e assegni familiari.

Come già ampiamente e analiticamente dimostrato in dottrina le prime tre questioni non pongono particolari problemi. La prima in quanto già ora il Regno Unito può, con il proprio voto negativo, contribuire a non aprire i negoziati con uno Stato terzo che chiede l’ingresso. Circa la seconda, il c.d. turismo sociale, la giurisprudenza comunitaria si è pronunciata da tempo nel senso di fornire incisivi strumenti agli Stati per impedire tale fenomeno; con riguardo, poi, ai c.d. truffatori, la Commissione europea ha suggerito agli Stati l’adozione di misure volte ad arginare tali situazioni. Il tema vero, invece, riguarda l’ultima questione e cioè l’accesso dei cittadini comunitari (e in particolare dei lavoratori) al welfare britannico. Ed infatti la risposta di Tusk prende in considerazione dei quattro punti relativi al paragrafo Immigrazione solo quello riguardante quest’ultima questione, in senso sostanzialmente negativo: “On social benefits and free movement, we need to fully respect the current treaties, in particular the principles of freedom of movement and non-discrimination. Therefore the proposed solution to address the UK concerns builds on the clarification of the interpretation of current rules, including a draft Commission Declaration on a number of issues relating to better fighting abuse of free movement. The draft Decision of the Heads notes, in particular, the Commission's intention to propose changes to EU legislation as regards the export of child benefits and the creation of a safeguard mechanism to respond to exceptional situations of inflow of workers from other Member States. A draft Commission Declaration also relates to this mechanism. This approach, as well as the exact duration of the application of such a mechanism need to be further discussed at our level”. Preliminarmente va osservato che tali richieste pur riferendosi in maniera generica, ai “cittadini” dell’Unione, senza distinzione tra lavoratori e non lavoratori, in realtà, visto quanto sopra chiarito, vanno ad incidere sostanzialmente sui lavoratori e sui loro familiari in ricongiungimento, in conseguenza del principio di parità di trattamento, così come previsto dalla normativa derivata (artt. 7 e 12 Regolamento 1612/1968) e confermato dalla Corte di Giustizia. Le direttive man mano intervenute, infatti (90/364; 90/365; 93/96), pur generalizzando in via di principio la libertà di circolazione e la parità di trattamento, hanno distinto varie categorie: lavoratori, studenti, persone in pensione e altri soggetti inattivi, chiarendo che alle persone “non” attive i benefici si estendono in presenza di un’assicurazione sanitaria e condizionata dalla disponibilità di risorse sufficienti tali da non gravare eccessivamente sul sistema di assistenza sociale del Paese ospitante... (segue)



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