Lo scopo del presente scritto è quello di porre in evidenza le criticità riscontrate nella concreta applicazione dell’art. 53, c. 16-ter del D.Lgs. 165/01, anche alla luce di alcune recenti pronunce del giudice amministrativo. A tal fine appare utile in premessa riepilogare brevemente il contesto normativo in cui la disposizione si inserisce. Si tratta, come noto, di una delle novità della legge n. 190 del 2012. Il Legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento un complesso di istituti volti a prevenire in via amministrativa fenomeni di ‘corruzione’ latu sensu intesa e tra questi, con l’art. 1, c. 42, lett. l) della L. 190/12, il divieto di pantouflage o, secondo la tradizione anglosassone, il divieto di revolving doors, sanzionandone in modo particolarmente severo la violazione. L’art. 53, c. 16-ter del D.Lgs. 165/01 si compone, infatti, di due periodi. Il primo descrive la condotta vietata stabilendo che “i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri”. Il secondo periodo dispone le conseguenze sanzionatorie prevedendo che: “I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti”. La ratio della norma appare piuttosto chiara: impedire che un soggetto che abbia lavorato nella pubblica amministrazione si precostituisca, nel corso dell’espletamento del proprio servizio, una situazione di vantaggio in vista di una futura occasione lavorativa. Si tratta, dunque, di una norma in diretto collegamento con il principio costituzionale di imparzialità dell’amministrazione e di quello che impone ai pubblici impiegati di essere “al servizio esclusivo della Nazione” (art. 97 e 98 Cost.). L’art. 53, c. 16-ter del D.Lgs. 165/01 costituisce, pertanto, a tutti gli effetti una misura di prevenzione della corruzione intesa come cd. maladministration, essendo tale l’“assunzione di decisioni (di assetto di interessi a conclusione di procedimenti, di determinazioni di fasi interne a singoli procedimenti, di gestione di risorse pubbliche) devianti dalla cura dell’interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte di interessi particolari”. La prevenzione, dunque, riguarda tutti gli “atti e comportamenti che, anche se non consistenti in specifici reati, contrastano con la necessaria cura dell’interesse pubblico e pregiudicano l’affidamento dei cittadini nell’imparzialità delle amministrazioni e dei soggetti che svolgono attività di pubblico interesse”... (segue)
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