
La disciplina che regola lo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili nell’ultimo decennio è stata al centro di frequenti “tensioni” istituzionali, in larga misura da ricondurre alla difficoltà di conciliare il sempre più marcato favor manifestato dall’ordinamento sovranazionale per tali risorse energetiche con la molteplicità degli interessi – e quindi delle funzioni pubbliche – su cui tale disciplina viene ad incidere (ambiente, paesaggio, salute, governo del territorio, libertà di iniziativa economica). Tutto ciò ha favorito l’insorgere di numerosi conflitti tra i diversi livelli di governo che hanno riguardato non solo il problema della titolarità del potere legislativo, ma anche il concreto esercizio (e coordinamento) delle funzioni amministrative di programmazione, localizzazione e autorizzazione. Proprio in tale contesto si inserisce una recente pronuncia della Corte costituzionale (15 dicembre 2016, n. 267), la quale è intervenuta per chiarire la peculiare ratio sottesa alla complessa regolazione amministrativa delle fonti energetiche rinnovabili, nonché per precisare il concreto spazio di esercizio della potestà regionali a tutela dell’ambiente. Nello specifico, l’intervento trae spunto da una controversia insorta dinnanzi al Tar Puglia, ove alcuni ricorrenti avevano contestato la legittimità dei provvedimenti con cui l’amministrazione regionale aveva dapprima comunicato i motivi ostativi alla conclusione favorevole del procedimento e, successivamente, aveva negato l’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica. Nell’ambito di tale giudizio, il giudice amministrativo sollevava la questione di costituzionalità della normativa regionale che, a suo dire, avrebbe introdotto limiti più gravosi alla procedura per l’autorizzazione delle fonti energetiche rinnovabili. In particolare, il legislatore regionale – discostandosi da quanto previsto dalla legge nazionale – aveva limitato a tre anni l’efficacia temporale del provvedimento di esclusione dalla procedura di VIA per alcune tipologie di interventi: decorso tale termine senza che si fossero avviati i lavori, si sarebbe infatti dovuto procedere ad una rinnovazione dell’iter procedimentale. Proprio in virtù di tale norma, la Regione aveva rigettato la richiesta di proroga del provvedimento di esclusione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), originariamente disposta per cinque aerogeneratori del campo eolico. La Corte costituzionale, investita dal giudice a quo, dichiara il contrasto dell’art. 2, comma 1, lett. h, l. reg. n. 17/2007 sia con l’art. 41 Cost. in materia di libertà di iniziativa economica privata, sia rispetto all’art. 117, comma 2, lett. s) Cost. in materia di ambiente. E infatti, i limiti legislativi imposti dal legislatore regionale, non rivelandosi immediatamente funzionali ad assicurare una tutela rafforzata in materia ambientale, introdurrebbero degli oneri eccessivi all’iniziativa economica privata rispetto a quanto previsto dal legislatore statale: il che appare oltremodo irragionevole in un settore in cui – come chiarito dalla Corte – si dovrebbe invece favorire l’iniziativa economica privata che, attraverso la produzione di energia “pulita”, concorre alla realizzazione dell’interesse pubblico alla riduzione delle emissioni inquinanti... (segue)
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