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NUMERO 19 - 11/10/2017

 I differenti orientamenti giurisprudenziali in materia di accesso al pubblico impiego, fra atteggiamenti di chiusura e approcci più attenti al diritto dell'Unione europea

Negli ultimi mesi, la questione delle deroghe alla libera circolazione dei lavoratori applicabili al settore della pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 45(4) del TFUE, è stata al centro del dibattito pubblico italiano. L’attenzione per questa tematica, che nel recente passato era stata già oggetto di alcune importanti querelle giudiziarie, è stata risvegliata da una serie di decisioni dei Giudici amministrativi riguardanti la direzione dei poli museali di rilevante interesse nazionale. Alcune di queste decisioni, infatti, hanno pure sollevato aspre polemiche a livello istituzionale. L’evoluzione di questa vicenda giudiziaria, unitamente ai precedenti giurisprudenziali, offre interessanti spunti di riflessione agli studiosi del diritto dell’Unione europea, non solo per gli aspetti che riguardano, nello specifico, la libera circolazione dei lavoratori, ma, più in generale, per quanto concerne l’applicazione del diritto dell’Unione europea da parte delle giurisdizioni italiane. Infatti, come si dirà, nel risolvere la controversia, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (di seguito TAR Lazio) ha prestato una scarsissima (o meglio nulla) attenzione all'applicazione delle norme di diritto dell’Unione europea rilevanti nella fattispecie. Diversamente, il Consiglio di Stato, si è mostrato, molto puntuale nel ricostruire anche i consolidati orientamenti interpretativi forniti dalla Corte di giustizia europea. Anche in passato, d’altronde, il Consiglio di Stato aveva già ribaltato una decisione del TAR riguardante l’applicazione della riserva ex art. 45 (4) TFUE, dal momento che questa non teneva adeguatamente conto della normativa e della giurisprudenza europea.  Invero, anche al di fuori della giustizia amministrativa esistono dei precedenti in materia, di cui si dirà, nei quali i giudici nazionali hanno giustamente interpretato la legislazione italiana in maniera strettamente conforme alle norme europee ed alla giurisprudenza della Corte di giustizia. L’approccio di chiusura al diritto dell’Unione europea seguito dal TAR sembra, quindi, avere un carattere di eccezionalità nella prassi giudiziaria italiana. Venendo, quindi, alla vicenda in esame, il capitolo più importante della saga giudiziaria sui direttori dei musei è certamente costituito da due sentenze del TAR Lazio del 24 maggio 2017, con le quali sono stati annullati gli atti delle selezioni per l’affidamento degli incarichi dirigenziali del Palazzo Ducale di Mantova, della Galleria Estense di Modena e dei Musei archeologici nazionali di Taranto, Napoli e Reggio Calabria. Tali decisioni, la cui efficacia al momento è stata sospesa da due ordinanze del Consiglio di Stato, hanno provocato una dura reazione da parte del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini. Secondo il Ministro, infatti, il TAR Lazio avrebbe mal interpretato quanto disposto dalla riforma del MIBACT del 2014, il cui obiettivo è anche quello di adeguare l’Italia agli “standard internazionali” in materia di musei, per migliorare la promozione dello sviluppo della cultura. Ripercorrendo rapidamente le tappe che hanno portato alle decisioni di cui trattasi, si deve ricordare che con d.l. 31 maggio 2014, convertito in legge il 29 luglio successivo, sono state introdotte una serie di disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo. Nell’ambito di questo testo normativo, è stato previsto che, per il fine già richiamato, cioè di adeguare l’Italia agli “standard internazionali” in materia di musei e di migliorare la promozione dello sviluppo della cultura, sono stati individuati i poli museali e gli istituti della cultura statali di rilevante interesse nazionale che costituiscono uffici di livello dirigenziale. Gli incarichi relativi a tali uffici possono essere conferiti con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre a cinque anni, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali, anche in deroga ai limiti sulla dotazione organica previsti dalla legge. L’obiettivo perseguito dal legislatore sembra, quindi, quello di avviare procedure di selezione straordinaria, per affidare la direzione dei principali poli museali italiani a persone altamente qualificate, anche al di fuori del novero dei dipendenti del MIBACT ed oltre i limiti dei contingenti fissati dalla legge, con il fine ultimo di stimolare la crescita complessiva del settore culturale e turistico del nostro Paese. In altri termini, seguire i modelli di gestione adottati a livello internazionale, per migliorare l’attrattività dei nostri principali siti culturali e turistici. Intento che, come detto, era stato sostanzialmente ridimensionato dal Tar Lazio lo scorso maggio, quando ha annullato gli incarichi conferiti in 5 dei 20 musei per i quali era stata bandita, attraverso un decreto emanato il 7 gennaio 2015 dal MIBACT, la sopra indicata procedura straordinaria di selezione. I motivi di annullamento presenti nelle due decisioni del TAR Lazio investono tre profili principali: a) la cittadinanza non italiana di alcuni dei nominati, b) la trasparenza della procedura e c) i criteri di valutazione. Tralasciando gli ultimi due aspetti, nella presente analisi ci si soffermerà soltanto sulla questione della cittadinanza, dal momento che questa si presta ad essere esaminata alla luce delle disposizioni del diritto dell’Unione europea. Come, infatti, messo in evidenza da alcuni studiosi ed opinionisti, sembra che, nell’esame di entrambi i casi, il TAR non abbia dovutamente preso in considerazione la normativa europea in vigore sulla libera circolazione delle persone, così come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, sebbene questa prevalga sulla legislazione nazionale. Fra i commenti più autorevoli, ad esempio, ha avuto larga eco nei media l'opinione espressa da Sabino Cassese, il quale ha affermato che la direzione dei musei deve essere aperta ai cittadini dell’UE, secondo quanto disposto dalle regole europee sulla libera circolazione dei lavoratori, dalla giurisprudenza europea in materia e dalla legge italiana, come anche interpretata dalla giurisprudenza italiana. Tali critiche hanno trovato conferma in alcune recenti decisioni del Consiglio di Stato. Quest’ultimo, in primo luogo, in attesa della decisione di merito sull’appello proposto dal MIBACT, ha sospeso l’efficacia delle due sentenze del TAR Lazio di cui si discute, consentendo così ai direttori stranieri precedentemente nominati di tornare ad esercitare le propriefunzioni. Inoltre, il 20 luglio 2017 ha deciso un'altra controversia, riconoscendo nella relativa sentenza che la direzione del Parco archeologico del Colosseo possa essere affidata a cittadini dell'Unione non in possesso della cittadinanza italiana. Di seguito, quindi, si procederà, innanzitutto, ad esaminare la pertinente legislazione italiana, per passare, successivamente, ad analizzare il contenuto e la portata delle regole europee, alla luce degli orientamenti interpretativi della Corte di giustizia europea. Infine, tenendo conto del quadro giuridico di riferimento, nazionale ed europeo, si esamineranno criticamente le sentenze del TAR, alla luce sia delle più recenti decisioni del Consiglio di Stato sia della prassi degli altri organi giudiziari italiani che si sono occupati della stessa materia. L’obiettivo sarà quello di riflettere, in generale, sulla materia della libera circolazione dei lavoratori nell’ambito del pubblico impiego e sulla sua applicazione in Italia.. A questo proposito, fra l’altro, lo scrivente è del parere che nella vicenda legata alla direzione dei musei, la legislazione sulla libera circolazione dei lavoratori non sia stata ignorata solo dai giudici del Tar Lazio, ma anche da tutti gli altri attori coinvolti in questa vicenda, a cominciare dal legislatore, fino alla difesa erariale nei cennati giudizi... (segue)



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