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NUMERO 19 - 11/10/2017

 Cibo e cultura: nuove prospettive giuridiche

“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” ovvero “l’uomo è ciò che mangia” sono espressioni sempre più ricorrenti nel linguaggio comune e riflettono una posizione ormai consapevole e condivisa: quella dello stretto connubio tra cibo e cultura ovvero l’idea che i prodotti enogastronomici con le relative materie prime e le tecniche, nonché i luoghi, di coltivazione, lavorazione, produzione siano rappresentativi dei territori di riferimento ovvero siano elementi che contribuiscono alla definizione dell’identità culturale di un popolo. Essi sono la risultante, e al contempo la rappresentazione, di vari fattori, quali il clima, la morfologia, la struttura sociale ed economica, i saperi scientifici e tecnici dei territori e delle relative popolazioni, sono dunque importanti indicatori dell’evoluzione della storia umana e naturale. Specularmente alla diffusione di abitudini alimentari sempre più omologate e globalizzate va affermandosi la rilevanza della diversità alimentare, la ricerca e la salvaguardia delle peculiarità agroalimentari di ogni territorio, perché in esse si riconoscono aspetti tipici e identitari dei luoghi. Questa linea di tendenza non soltanto riflette esigenze, pure sempre più avvertite, di tipo nutrizionistico, legate alla tutela della salute e alla qualità della vita, in quanto è pacifico che i cibi più tradizionali e genuini siano quelli più sani, ovvero finalità di conservazione della diversità biologica connessa alla gran parte dei prodotti tradizionali, ma denota la maturata consapevolezza che si tratta di beni che sono parte integrante della cultura di un popolo, fattori e risorse capaci di essere attrattivi per i territori, perché sono espressione della identità culturale di essi. Si pensi al fenomeno, in grande ascesa, del cd. turismo enogastronomico, in cui i prodotti enogastronomici rilevano come beni capaci di orientare le dinamiche turistiche alla stessa stregua delle tradizionali risorse turistiche (i beni culturali, il paesaggio, i beni di interesse religioso, ecc.), avendo anzi una capacità di affermazione di tipo trasversale, in quanto possono aggiungersi alle altre risorse turistiche che connotano un certo territorio, con l’effetto di contrassegnare l’intera gamma dei prodotti dell’offerta turistica. Il diritto recepisce queste nuove sollecitazioni secondo diversi modelli. Tra i più evidenti, quello dei marchi dei prodotti alimentari, di fonte sovranazionale, statale e regionale, che vanno a “certificare” il legame tra prodotto e territorio, qualificando sul mercato i beni dal punto di vista della loro provenienza, dato evidentemente evocativo di una serie di elementi che riguardano il territorio e che si riverberano sul prodotto. La prospettiva qui proposta riguarda il riconoscimento giuridico del valore culturale propriamente inteso che contraddistingue diversi prodotti enogastronomici (e le relative tecniche di produzione). Un contributo notevole in questa direzione proviene dal diritto internazionale dei beni culturali, in particolare dalla Convenzione Unesco del 17 ottobre 2003 “per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale”, la quale, come si vedrà, innesca diverse sollecitazioni rispetto agli ordinamenti nazionali, tradizionalmente ancorati a impostazioni ‘statocentriche’ e ad una concezione ‘materiale’ dei beni culturali, come è per l’ordinamento italiano... (segue) 



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