I referendum veneto e lombardo del 22 ottobre 2017 sull’autonomia regionale sono stati un importante fatto di partecipazione democratica. Adesso occorre dare seguito alla volontà popolare. Ma come fare? Questo il dilemma. Provo a fissare alcuni punti utili per portare la questione a un livello di discussione serio e non improvvisato. I due quesiti hanno avuto un oggetto diverso: quello lombardo si riferisce alle materie di cui all’art. 116, comma 3, della Costituzione, delle quali si chiede l’attribuzione “con le relative risorse” e “nel quadro dell’unità nazionale” (“Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?”); quello veneto è generico e senza riferimenti puntuali ad un testo costituzionale (“Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”). Il referendum, al di là delle classificazioni elaborate dalla dottrina, è e resta uno strumento politico straordinario: lasciarlo in balia degli interpreti significa trasformarlo in una minaccia per le istituzioni che devono farsi carico di portarne ad effetto il risultato. In una minaccia per la stessa democrazia. Del resto, proprio il reiterato ricorso alla previa consultazione del “popolo” veneto e del “popolo” lombardo ha avuto questo specifico obiettivo: sovraccaricare l’iniziativa per una maggiore autonomia regionale di ciò che in dottrina si sarebbe detto un surplus di legittimazione democratica. Invero, proprio l’incertezza e l’ambiguità della domanda, confermata dall’ampiezza delle richieste politiche fatte subito dopo l’esito delle consultazioni popolari (soprattutto da parte del Veneto), dimostra l’uso propriamente populistico del referendum. L’appello al popolo presuppone l’idea che il “popolo” veneto e lombardo sia un ente reale e concreto, dotato di una propria e superiore razionalità, capace di imporsi e prevalere, perciò, su qualsiasi conseguente decisione degli organi rappresentativi, siano essi quelli della regione, siano quelli della Repubblica italiana. E’ inutile girarci intorno: l’idea di fondo è che la dialettica tra popolo e rappresentanti si risolva nel primato incondizionato della ratio populi sulla voluntas legislatoris... (segue)
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