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NUMERO 21 - 08/11/2017

 Il sistema di finanziamento del servizio sanitario nazionale

La situazione economica di particolare gravità che da anni attraversa il Paese ha indotto il legislatore statale ad intervenire sistematicamente sugli enti del Servizio sanitario nazionale al fine del contenimento della spesa. La spesa sanitaria pubblica, dopo la brusca contrazione tra il 2013 e il 2014, e’ rimasta sostanzialmente stabile intorno alla quota di 110 miliardi di euro che ne hanno caratterizzato il livello nell’ultimo decennio. A raffronto con i paesi maggiormente industrializzati e a più alto PIL(Canada, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito, Stati Uniti), l’Italia si distingue per livelli di spesa più bassi, sia come spesa per salute complessiva rispetto al PIL, sia come spesa per salute Pro capite. Tuttavia, la spesa per protezione sociale in Italia oscilla molto meno che altrove e non e’ mai marcata dal segno meno, cioè ha una sua intrinseca spinta all’incremento nel mutare profondo del contesto sociale. Il sistema sanitario italiano, pur con i problemi di tipo economico finanziario che lo caratterizzano, e pur presentando ampi margini di miglioramento quantitativi e qualitativi delle prestazioni erogate, a confronto con i principali Paesi europei resta un ottimo Servizio sanitario, come testimoniato dagli indicatori OCSE finanziari e di qualità, seppure con profonde diseguaglianze geografiche. Nel corso degli anni 80’, a seguito dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ad opera della legge 23 dicembre 1978 n 833, il finanziamento era affidato al Fondo sanitario nazionale (FSN da ora in poi), in base ad un riparto effettuato dal Comitato Interministeriale Programmazione Economica. Il FSN era costituito per metà dai contributi di malattia, quale forma di “assicurazione obbligatoria” a carico di tutti i cittadini, ai sensi dell’articolo 63 della legge 23 dicembre 1978 n 833, e per metà da trasferimento dello Stato, fino agli anni ’90, quando il finanziamento rimane per il 50% a carico del  FSN e per metà a carico delle Regioni attraverso l’IRAP. Tale sistema destinava risorse finanziarie per riequilibrare le differenze regionali, ma, certamente, non era in grado di innescare processi virtuosi di controllo della spesa sanitaria. L’articolo 13 del d.lgs 30 dicembre 1992 n 502, come modificato dal decreto legislativo n.229 del 1999, ha stabilito, al contempo, che, per coprire i livelli assistenziali maggiori di quelli uniformi, le Regioni possono agire su esenzioni e tributi propri, sulla quota fissa dei ticket farmaceutici e sull’imposizione di nuovi ticket. Il vero cambiamento nel sistema di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale è stato operato dal d.lgs. 18 febbraio 2000 n 56 (“Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'articolo 10 della legge 13 maggio 1999, n 133”) che ha rideterminato il Fondo Sanitario Nazionale, sopravvissuto limitatamente al fondo di “perequazione” (articolo 7), individuando le fonti di finanziamento regionali. Cio’ ha comportato la soppressione dei trasferimenti statali alle Regioni in materia sanitaria e la contemporanea introduzione del sistema compartecipativo regionale, come di seguito illustrato, con il relativo obbligo delle Regioni di provvedere alla copertura dei disavanzi prodotti. Infatti, lo spostamento sul finanziamento regionale è stato determinato dall’esigenza di allocare presso l’organismo regionale sia le decisioni di spesa che di prelievo e di imporre una maggiore responsabilizzazione economica e politica. Nell’ultimo decennio, in particolare, il SSN è stato interessato da importanti interventi di riforma che, gradualmente, hanno delineato un articolato sistema di governance, che ha consentito di migliorare l’efficienza del settore, anche attraverso un’analisi selettiva delle criticità, fermo restando il principio della garanzia del diritto alla salute costituzionalmente garantito dall’articolo 32. Gli interventi più significativi del processo di riforma hanno riguardato: la sottoscrizione di specifiche Intese tra Stato e Regione, con finalità programmatiche e di coordinamento dei rispettivi ambiti di competenza, l’introduzione ed il potenziamento di un sistema di rilevazione contabile economico-patrimoniale, l’attivazione di specifici Tavoli di verifica degli equilibri finanziari del settore sanitario e della qualità delle prestazioni erogate. Nella regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le Regioni, costituiscono strumenti essenziali del sistema di governance: l’obbligo regionale di garantire l’equilibrio nel settore sanitario con riferimento a ciascun anno, tramite l’integrale copertura dei disavanzi sanitari da parte delle regioni che li hanno determinati; l’obbligo della redazione di un Piano di rientro per le regioni con disavanzi sanitari superiori alla soglia fissata per legge fino al commissariamento della funzione sanitaria, qualora il Piano di rientro non sia adeguatamente redatto o non sia attuato nei tempi e nei modi previsti e, da ultimo, i piani di rientro aziendali, per quegli enti che superino la quota di disavanzo stabilita. L’attività di analisi e monitoraggio della gestione della spesa sanitaria a livello regionale ha dimostrato che una gestione non efficiente delle risorse finanziarie in campo sanitario, oltre a determinare rilevanti disavanzi di gestione, comporta molto spesso un peggioramento della qualità dei servizi assicurati ai cittadini. Ne è una conferma il fatto che, in tutte le regioni sottoposte ai Piani di rientro dai deficit sanitari, si è registrato, contestualmente alla riduzione del disavanzo, anche un miglioramento nell’erogazione dei LEA, seppure in misura non uniforme e con diversa velocità… (segue)



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