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L’endemico aggravamento delle crisi internazionali in atto ha, com’è noto, sollevato (e continua tutt’ora drammaticamente a sollevare) un’eccezionale ondata di migranti verso le coste italiane. Ciò non ha solo portato ad un esponenziale aumento delle domande di protezione internazionale nei confronti delle competenti Commissioni territoriali dal punto di vista amministrativo ma pure – con una sorta di inevitabile effetto rebound – ad una corrispondente crescita del contenzioso sotto il profilo giurisdizionale. È così che accanto all’elaborazione ed alla diffusione di non secondarie iniziative di soft law – spazianti dalla formazione e comunicazione nelle realtà territoriali di buone prassi di gestione di tale tipologia di procedimenti alla stipulazione di protocolli con amministrazioni statali o organizzazioni non governative (attinenti, in particolare, alla migliore circolazione delle informazioni circa dati identificativi, paesi di provenienza e precedenti giurisprudenziali dei richiedenti protezione internazionale) – per fronteggiare l’inarrestabile montare del fenomeno si è infine fatto ricorso all’hard law legislativo. La risposta molto recentemente approntata da parte del Governo italiano (poi suggellata dal Parlamento) si è perciò articolata su due ben distinti versanti: per così dire in uscita, allo scopo di garantire maggiore effettività ai provvedimenti di espulsione e allontanamento dal territorio nazionale dei cittadini stranieri in condizione di soggiorno irregolare (ad esempio, potenziando la rete dei centri di identificazione ed espulsione e destinando nuove risorse per l’esecuzione dei rimpatri); in entrata, al fine di rendere più snello ed efficiente l’accertamento del diritto del migrante alla protezione internazionale. Con riferimento a tale ultimo profilo – seppure non sia stata tecnicamente toccata la disciplina sostanziale complessivamente risultante dai D.Lgs. nn. 85/2003, 251/2007 e 142/2015 ma si sia piuttosto ritenuto di incidere (nemmeno poi tanto superficialmente…) sul diverso profilo processuale – è peraltro inevitabile che la parziale riscrittura della normativa dettata in tal senso dal pregresso D.Lgs. n. 25/2008 (tanto riguardo al procedimento amministrativo che relativamente a quello giurisdizionale) finisca inevitabilmente per condizionare l’esercizio sostanziale del diritto alla protezione internazionale da parte dell’avente diritto. Del giudizio innanzi alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale due sono, in particolare, gli aspetti innovati ed aventi diretta incidenza sull’eventuale fase giurisdizionale successiva: e cioè, per un verso, il regime delle notificazioni nei confronti del richiedente asilo; e, per un altro, le modalità di svolgimento del colloquio personale con quest’ultimo. Premesso che sul richiedente protezione incombe l’obbligo particolare (qualora convocato) di comparire personalmente davanti alla Commissione citata, di consegnare i documenti in suo possesso pertinenti ai fini della domanda (incluso il passaporto) e di informare l’autorità competente in ordine ad ogni suo mutamento di residenza o domicilio – nonché quello, più generale, di agevolare tutti gli accertamenti previsti dalla legislazione in materia di pubblica sicurezza in ogni fase della procedura – la novella del 2017 innanzitutto coordina le diverse disposizioni di cui ai D.Lgs. 25 cit. (art. 11) e 142 cit. (art. 5) chiarendo che per «ultimo domicilio» si intende l’ultimo dallo stesso richiedente dichiarato (a meno che costui non si trovi già presso un centro o una struttura di accoglienza o trattenimento)... (segue)
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