Il potere di autotutela è stato tradizionalmente ritenuto uno dei poteri amministrativi fondamentali, unitamente all’autonomia e all’autarchia. In diritto amministrativo, infatti, l’autotutela investe momenti essenziali dell’azione dell’amministrazione, quali l’esecuzione dei provvedimenti, gli annullamenti e le revoche, i provvedimenti di controllo e quelli sanzionatori. Autorevolissima dottrina ha individuato forme di autotutela esecutiva definendo la stessa come la possibilità per l’autorità amministrativa di realizzare unilateralmente e, se necessario, coattivamente le situazioni di vantaggio che con il provvedimento nascono a proprio favore (c.d. esecutorietà del provvedimento) ovvero come la capacità dell’amministrazione di farsi ragione da sé, naturalmente secondo diritto, per le vie amministrative, salvo ogni sindacato giurisdizionale. L’autotutela decisoria, invece, quale espressione del principio di continuità dell’azione della pubblica amministrazione, che può costantemente rivedere i propri atti al fine di meglio perseguire gli interessi pubblici affidati dalla legge alle sue cure, si concreta soprattutto nei provvedimenti di annullamento e revoca, i quali, volti ad incidere sull’assetto di interessi delineato con atti precedenti dalla stessa amministrazione, sono provvedimenti di secondo grado. Il potere di riesame dei propri atti è stato per lungo tempo considerato un potere immanente all’attività amministrativa, perenne ed inconsumabile, avendo la sua fonte nella stessa norma attributiva della potestà esercitata in prime cure ed essendo volto alla costante verifica critica dell’attività svolta al fine di emendarla attraverso l’annullamento (con efficacia ex tunc) di atti ritenuti illegittimi o la revoca (con efficacia ex nunc) di atti ritenuti inopportuni. La giurisprudenza pretoria formatasi sul punto, in assenza di una disciplina normativa, proprio per la ritenuta perpetuità, non aveva fissato alcun limite temporale entro il quale il provvedimento di autotutela potesse essere adottato. Viceversa, aveva ritenuto che l’atto di autotutela dovesse essere esaustivamente motivato in ordine all’interesse pubblico concreto ed attuale alla eliminazione dell’atto di prime cure, non essendo di regola sufficiente la mera esigenza di ripristino della legalità violata... (segue)
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