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Sul presupposto che “chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza ha diritto al pieno risarcimento”, l’Unione europea è intervenuta con la Direttiva 2014/104/UE per delineare un modello di private enforcement “autenticamente europeo”, basato sul rimedio risarcitorio in funzione totalmente compensativa ed in accordo con i rimedi pubblicistici, al fine di armonizzare le “marcate differenze esistenti fra gli Stati membri in relazione alle norme che disciplinano le azioni risarcitorie antitrust e che causano incertezza circa le condizioni a cui i soggetti danneggiati possono esercitare il diritto al risarcimento, compromettendone l’effettivo esercizio”. L’azione risarcitoria disegnata dalla Direttiva non ammette strumenti di quantificazione del danno che tengano conto anche del profitto ottenuto dall’autore dell’illecito, vieta espressamente sia la overcompensation del soggetto danneggiato sia la possibilità di un arricchimento (ingiustificato) della vittima della violazione nei confronti dell’autore della stessa. Inoltre, non prevede alcuna forma di punitive damages ritenuti incompatibili con la tradizione giuridica comunitaria e con alcuni ordinamenti nazionali nei quali il risarcimento con funzione punitiva viene considerato contrario all’ordine pubblico economico, sino al punto da rifiutare la delibazione di sentenze straniere di liquidazione di danni di tale tipo. Invero, i numerosi tentativi di “trapianto” nell’ordinamento giuridico italiano dell’istituto di derivazione anglosassone sono stati fortemente osteggiati dalla giurisprudenza di legittimità sul presupposto che “alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, anche mediante l'attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito, mentre rimane estranea al sistema l'idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta”. Tuttavia, già da qualche anno le Sezioni Unite hanno superato l’analisi condotta sino a questo momento ritenendo che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non sia “incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento giacché negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento” e che “accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell'istituto (che immancabilmente lambisce la deterrenza) [sussiste] una natura polifunzionale che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva”. Ciò non significa – specifica la Corte - che l'istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati. Al contrario, ogni imposizione di prestazione personale esige una “intermediazione legislativa", in forza del principio di cui all'articolo 23 Cost., (correlato agli artt. 24 e 25), che pone una riserva di legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario... (segue)
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