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NUMERO 3 - 31/01/2018

 La sentenza 269/2017 della Corte costituzionale italiana: obiter 'creativi' (o distruttivi?) sul ruolo dei giudici italiani di fronte al diritto dell'Unione europea

La sentenza qui in commento nasce da due ordinanze aventi ad oggetto la compatibilità con gli articoli 3 e 53 Cost. della normativa che prevede un contributo obbligatorio a favore della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato da parte di tutte (e sole) le imprese residenti in Italia  con fatturato superiore a 50 milioni di euro, sino ad un massimo importo di cento volte la misura minima. Non ci soffermeremo qui sugli aspetti principali della pronuncia, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la ragionevolezza di tale contributo e la sua non contrarietà al principio di progressività delle imposte. Il presente commento è invece esclusivamente concentrato sulla parte della sentenza che concerne i rapporti con il Diritto dell’Unione europea. In una delle ordinanze il giudice rimettente aveva deciso di rivolgersi alla Consulta senza previamente esaminare la presunta incompatibilità con gli artt. 49 e 56 TFUE, contrariamente a quanto prescritto dalla stessa Corte costituzionale.  Tale incompatibilità era stata evocata dai ricorrenti, pur essendo evidente l’inapplicabilità alla fattispecie del diritto dell’Unione europea, in quanto si trattava di una situazione puramente interna. Sebbene non sia chiaramente spiegato nella sentenza, è possibile che i ricorrenti (e con essi il giudice rimettente) pensassero che, dato che le imprese non residenti che operano in Italia senza stabile organizzazione sono esentate dal contributo, si creasse una discriminazione “a contrario”, come tale perseguibile non davanti alla CGUE ma solo davanti alla Consulta per violazione dell’art.3 Cost. Quello che qui interessa è che la Corte costituzionale sembra aver voluto approfittare della questione relativa a tale applicabilità per lanciarsi in una serie di considerazioni sul comportamento che devono tenere i giudici ordinari, non solo di fronte a norme nazionali incompatibili con il diritto dell’Unione, ma anche in relazione all’applicazione da parte dei giudici della Carta dei Diritti fondamentali, pur non essendo quest’ultima minimamente rilevante per il giudizio in esame... (segue)



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