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NUMERO 5 - 28/02/2018

 Certezza del diritto e diritto vivente

La rinnovata crescente attenzione manifestata dalla dottrina nei confronti della certezza del diritto autorizza in questa sede ancora alcune riflessioni sull’argomento. È plausibile che questo “ritorno di fiamma” generalizzato sia giustificato, in una certa misura, dalla presa di coscienza da parte dei giuristi più accorti della centralità del tema, tanto più in un’epoca di crisi e precarietà, nella quale diviene quanto mai opportuno ribadire la naturale aspirazione del diritto a farsi presidio di certezza nelle caducità dell’esistente. Del resto, si può dire che il diritto, con il suo complesso di istituzioni (famiglia, proprietà, Stato, ecc.), nasca proprio in risposta all’esigenza di offrire un certo grado di sicurezza alle comunità fin dal primo manifestarsi dello stare insieme (ubi societas, ibi ius), al fine di cristallizzare nel tempo le relazioni umane e renderle, in tal modo, certe e durature. Tale circostanza ha spinto taluni Autori a definire la locuzione «certezza del diritto» come un’espressione tautologica, quasi che la certezza costituisca un attributo coessenziale alla natura stessa del giuridico. Eppure, gli eventi (giuridici, economici, istituzionali, culturali, ecc.) degli ultimi decenni hanno fatto sì, da un lato, che per una lunga fase il dibattito sulla certezza perdesse l’appeal che aveva avuto nel secolo scorso e, dall’altro, che la richiamata locuzione assurgesse addirittura alla stregua di una contraddizione in termini o, se si preferisce, di un ossimoro. Secondo quest’ultima visione, l’elemento della certezza non sarebbe da identificarsi tra gli attributi essenziali del diritto (soppiantato, ad esempio, dall’elemento dell’equità), come se lo scopo della certezza non fosse raggiungibile da parte dell’ordinamento giuridico o, perlomeno, non dovesse rappresentare la preoccupazione primaria dello stesso. È come se, in altri termini, ci si fosse arresi alla quota di imperfezione che è fisiologicamente presente in ciascun ordinamento (in quanto prodotto artificiale dell’essere umano), rinunciando a coltivare quell’ambizione alla certezza che deve contraddistinguere qualsiasi sistema giuridico. Il principale fattore di allontanamento del diritto dall’attributo della certezza può essere individuato, per tacere qui di altri fattori più o meno opinabili, in un evento che ha oggettivamente rivoluzionato la nostra architettura ordinamentale, ovverosia l’instaurazione dello Stato costituzionale, con l’introduzione di principi e valori “ad applicazione differita”, positivizzati nella Carta fondamentale e in grado di esprimere «la promessa di un diverso ordine futuro», comunque suscettibili di ampi margini di interpretazione ed adattabilità al caso concreto. Inutile dire che tale evento ha inciso innanzitutto sull’esercizio della funzione giurisdizionale, la funzione dello Stato che più di ogni altra è in relazione con il cd. diritto vivente, quella attraverso la quale la scienza giuridica si fa «sapere incarnato».  Nel presente contributo si tenterà di riflettere intorno ai processi di produzione del diritto vivente, ragionando sì su modelli astratti (ad esempio, i concetti di giurisprudenza e dottrina, che si vedranno infra) non senza un certo grado di semplificazione inevitabilmente, ma sempre cercando un ancoraggio nel diritto positivo... (segue) 



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