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NUMERO 6 - 14/03/2018

 La responsabilità per la bonifica ambientale

La responsabilità ambientale è un tema relativamente recente, che per le sue caratteristiche non può che essere governato a livello sovranazionale. Sebbene il trattato istitutivo della Comunità Europea del 1957 non prevedesse alcuna particolare forma di tutela dell’ambiente, né a livello di principio né di normazione, nel 1972 partendo dagli artt. 100 e 235 del Trattato istitutivo del 1957, la dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo ha riconosciuto che l’espansione economica doveva essere affiancata da una “attenzione particolare ai valori e ai beni non materiali e alla protezione dell’ambiente naturale, onde porre il progresso al servizio dell’uomo”. Il principio venne ripreso nella successiva raccomandazione 75/436/Euratom, CECA, CEE del 3 marzo 1975 nel quale venne registrata la necessità di un coordinamento sovranazionale per un’applicazione efficace della tutela dell’ambiente e si parlò per la prima volta del principio del “chi inquina paga”. L’evoluzione degli anni successivi, con il trattato di Maastricht (1993) e soprattutto con il Libro Verde (1993) e il Libro Bianco (2000) sulla responsabilità ambientale, codifica e dà forma ad un diritto ambientale europeo basato sull’individuazione di attività pericolose, una responsabilità di tipo oggettivo mirante ad incentivare l’attenzione all’ambiente mediante l’imposizione dei costi di riparazione a carico del soggetto inquinatore. I principi europei in materia ambientale si desumono dagli obiettivi prefissati in via prioritaria dal Trattato CE (art. 2) e dal Trattato costitutivo dell’Unione Europea (artt. 2 e 6) e cioè “il miglioramento della qualità dell’ambiente” e la promozione dello “sviluppo sostenibile”. Gli obiettivi vengono poi specificamente indicati dall’art. 174- 1°comma: la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente; la protezione della salute umana; l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; la promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale. I principi guida per conseguire tali finalità risultano delineati in molteplici interventi, convenzioni e trattati della Comunità internazionale, ma ancor oggi può dirsi che ai proclami e alle enunciazioni verbali e programmatiche non sempre sono seguiti provvedimenti concreti ed efficaci. Significativo è il rifermento al principio dello “sviluppo sostenibile”, definito nel Rapporto Brundtland “quello che soddisfa le politiche ambientali dell’Unione europea e soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future”. Al di là del forte impatto mediatico e della indubbia funzione di stimolo del principio, è tuttora attuale il dibattito sul percorso da seguire e sulle misure da adottare sul piano pratico per attuare una politica che migliori la qualità della vita (o comunque non la peggiori) delle generazioni di oggi, non superando i limiti della “capacità di carico (carryng capacity) degli ecosistemi che ci sostengono, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i loro bisogni”. Questa più ampia dimensione assunta dal principio, imperniato sull’aspetto ambientale in una prospettiva sociale ed economica, ha reso ancora più animato il dibattito sulle modalità e sui mezzi per conciliare le esigenze di un elevato livello di tutela dell’ambiente per il godimento dei diritti fondamentali alla vita e alla salute, e la salvaguardia delle risorse naturali per non ridurne le potenzialità di sviluppo con inevitabili ricadute negative sul piano economico e sociale, anche per le future generazioni. Anzi, nel vertice di Johannesburg del 2002, lo sviluppo sostenibile venne considerato come l’unica possibilità per realizzare la crescita coniugando l’ambiente con gli aspetti economici e sociali. Lo stesso art. 174 del Trattato, al comma 2°, enuncia gli altri principi ispiratori della politica ambientale della Comunità Europea, cioè quello della precauzione e dell’azione preventiva, quello della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché quello del principio «chi inquina paga». Il principio di precauzione è stato introdotto dal Trattato di Maastricht nel 1993, ma già l’art. 15 della Dichiarazione di Rio, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo del 1992, prevedeva che “ove vi siano minacce di danno serio o irreversibile, l’assenza di certezze scientifiche non deve essere usata come ragione per impedire che si adottino misure di prevenzione della degradazione ambientale”. Ancor prima, nel 1986, l’Atto Unico Europeo aveva assegnato alla Comunità Europea il compito di “preservare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente”, introducendo il principio di prevenzione, poi rafforzato e integrato da quello di precauzione. Il principio di precauzione impone di adottare ogni opportuno provvedimento in presenza di situazioni potenzialmente pericolose sull’ambiente, sulla salute umana, animale o vegetale, incompatibili con l’elevato livello di protezione richiesto dall’UE. Esso trova applicazione quando il timore del possibile pregiudizio sia determinato da motivi ragionevoli, previa un’attenta analisi degli elementi scientifici a disposizione, ancorché non suffragata da dati scientifici certi... (segue)



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