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NUMERO 7 - 28/03/2018

 Salvaguardia del pluralismo culturale e linguistico come parte dell'identità europea

Può il concetto di identità europea unitamente a quello di identità nazionale, così come previsti nel diritto UE vigente, soddisfare alle esigenze della società multiculturale del tempo presente, che implica che il pluralismo culturale e il pluralismo linguistico siano salvaguardati, promossi e/o tutelati? E’ questo l’interrogativo di fondo al quale il presente lavoro cerca di rispondere.

Dopo aver approfondito il concetto di identità collettiva da un punto di vista di teoria generale, si è cercato di applicarlo al diritto UE. La coesistenza dell’identità europea con l’identità nazionale nel diritto UE è stata interpretata dalla dottrina in due sensi: a) in un approccio de iure condito, il doppio concetto si fonderebbe su eredità culturali passate; b) in un approccio de iure condendo, lo stesso doppio concetto andrebbe visto solo in prospettiva futura.

Da un punto di vista giuspositivistico, seguendo dunque il primo approccio, ci si è chiesti se l’UE sia davvero un ordinamento rivolto esclusivamente alla cultura passata, oppure se, in fondo, offra spunti volti ad aprirsi alla società multiculturale di oggi.

Dall’analisi del diritto primario UE si è potuto constatare che tanto l’art. 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Carta di Nizza) quanto l’art. 167, c. 1, TfUE fanno riferimento non al concetto di pluralismo culturale, che implicherebbe scelte culturali provenienti dal basso, dalle comunità spontanee, bensì al concetto di «diversità culturale», che invece ha significato andare verso scelte culturali determinate dall’alto, dallo Stato, o da altre pubbliche autorità. Pertanto, l’approccio del diritto UE alla diversità culturale è stato (ed è) di tipo top-down.

Invero, il c. 3 del medesimo art. 167 TfUE, facendo riferimento alla “cooperazione [dell’UE] con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura” consente di dare al concetto di diversità culturale una differente  interpretazione. Ciò è stato possibile osservando la Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali del 2005 approvata dall’UE nel 2006. La Convenzione ha chiarito che la diversità culturale è questione che riguarda le comunità locali, formate dagli stessi individui che la praticano, secondo un approccio bottom-up. Quindi, il diritto internazionale riconosciuto dal diritto UE considera tale concetto come prodotto dal basso, da identità culturali di tipo collettivo e spontaneo e non da autorità politiche. Il che ci ha portati ad assimilare il concetto di diversità culturale al concetto di pluralismo culturale (e linguistico).

La conclusione è che l’ordinamento UE vigente consente di occuparsi tanto dell’identità culturale collettiva rivolta al passato gestita dalle pubbliche autorità, quanto dell’identità culturale collettiva volta al futuro lasciata nelle mani delle comunità spontanee. Quest’ultimo risultato permette di rispondere, almeno in nuce, alle esigenze della società multiculturale di oggi, dalla quale l’Europa non può prescindere.

Sul piano delle azioni pubbliche, la diversità culturale – in quanto frutto di libertà - si avvale della promozione e della salvaguardia. Per quanto riguarda la diversità linguistica, alla quale il diritto UE risponde sempre con la promozione, in realtà si dovrebbe accedere ad azioni di tutela, nella misura in cui la diversità linguistica è vero e proprio diritto fondamentale dell’uomo... (segue)



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