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NUMERO 8 - 11/04/2018

 Il sindacato pieno del giudice amministrativo sulle sanzioni secondo i principi della CEDU e del diritto UE

La disciplina delle sanzioni amministrative e del loro sindacato giurisdizionale sta compiendo un percorso evolutivo rapido e complesso, dagli esiti ancora incerti. Sul piano strutturale, il sistema giuridico presenta una connotazione multilivello, dall’architettura solo in parte lineare, in cui sono presenti, accanto alle tradizionali e stratificate norme nazionali, le fonti europee, articolate nel diritto dell’Unione europea (EU) e nelle disposizioni dell’ordinamento delineato dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Le regole nazionali, a loro volta, comprendono norme statali, regionali e degli enti locali, nonché determinazioni regolatorie delle Autorità indipendenti, di collocazione problematica nel quadro della gerarchia delle fonti. Per quanto riguarda i contenuti, poi, le diverse disposizioni esprimono valori e principi molteplici, non perfettamente uniformi, enfatizzando, di volta in volta, gli interessi pubblici preordinati alla efficace prevenzione e repressione degli illeciti e le contrapposte esigenze di tutela dei soggetti incolpati. In questo ambito si colloca il difficile ruolo del giudice, che, con le proprie decisioni, ha progressivamente elaborato e affinato un insieme di regole e di principi. Colmando le lacune dell’ordinamento e risolvendo alcune antinomie, la giurisprudenza, formata dalle pronunce delle Corti nazionali ed europee, ha dato corpo ad una sorta di “diritto vivente delle sanzioni”, dinamico e in continua trasformazione. Il preciso coordinamento tra le disposizioni di differenti provenienze e finalità non è affatto semplice. La sicura prevalenza della normativa europea, espressa della CEDU e dal diritto UE, richiede un attento processo di adattamento interno, perché l’ordinamento nazionale italiano risulta tradizionalmente incentrato su modelli sanzionatori di diversa matrice. Inoltre, il diritto della CEDU e quello dell’UE si concretizzano attraverso le pronunce delle Corti del Lussemburgo e di Strasburgo, le quali alternano affermazioni di principi generali ad interventi più mirati e circoscritti, incidenti sulla disciplina delle sanzioni, tanto nei suoi profili sostanziali, quanto negli aspetti riguardanti, direttamente o indirettamente, la tutela giurisdizionale. Va ancora osservato che, spesso, proprio il diritto UE e il diritto CEDU possono evidenziare punti di frizione: ciò avviene quando la normativa di derivazione eurounitaria si preoccupa di attuare essenzialmente il principio di “efficacia dissuasiva” delle sanzioni, dirette a presidiare la piena attuazione di particolari discipline sostanziali, lasciando in secondo piano – almeno in apparenza - i criteri fondamentali in materia di tutela dell’incolpato.  Due esempi vistosi di queste nuove criticità emerse al livello più alto della normativa europea sono costituiti dalla disciplina del private enforcement (che sarà meglio esaminata più avanti) e dalla clamorosa vicenda processuale del caso Taricco, segnata dalla dialettica tra il diritto UE e la Costituzione italiana. In quest’ultima circostanza, la CGUE (Sentenza della Grande Sezione, 5 dicembre 2017 (C-42/17), recependo la prospettiva esposta dalla Corte costituzionale italiana, ha ridimensionato la portata vincolante e la severità sanzionatoria del diritto UE, riconoscendo la prevalenza dei controlimiti costituzionali del diritto interno (in particolare: la tipicità della fattispecie dell’illecito; l’irretroattività della norma incriminatrice; la certezza del giudicato favorevole all’incolpato). Ancorché il punto non sia sottolineato adeguatamente dalla CGUE, i valori enunciati dalla Corte costituzionale risultano largamente corrispondenti ad alcuni dei principi fondamentali espressi dalla CEDU, con riguardo ai vincoli posti alle sanzioni penali... (segue)



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