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NUMERO 9 - 25/04/2018

 La cyber sicurezza come nuova dimensione della difesa dello Stato

La sicurezza nazionale sta espandendo sempre più i propri confini fisici, tralasciando la propria connessione con la territorialità degli Stati-Nazione e rivolgendo sempre più le proprie istanze verso la dimensione virtuale. Anche le minacce provenienti dall’esterno e mirate alla sottrazione di dati sensibili, siano esse di matrice terroristica o di stampo criminale, assumono quella caratteristica di liquidità che le libera dal loro collegamento con la dimensione fisica connessa alla materia tangibile. Obiettivo di questo elaborato è di contribuire ad inquadrare un’impostazione teorica di stampo microeconomico della cyber sicurezza, che da bene valutabile sul mercato come bene meritorio può, in virtù delle trasformazioni subite dalla dimensione della sicurezza e apportate dalla rivoluzione cibernetica attualmente in atto, essere catalogato come una risorsa identificabile alla stregua di bene pubblico puro, alla cui tutela ed implementazione devono concorrere sia le istituzioni nazionali, sia gli operatori del settore privato. Indispensabile, a questo punto, diviene una piccola introduzione dei concetti riguardanti la necessità dell’intervento pubblico nei casi in cui i meccanismi del libero mercato e dei prezzi non riescano ad assorbire le deviazioni dei processi di allocazione delle risorse. Nell’ambito della teoria microeconomica generale, un bene pubblico è riconosciuto come una delle cause dei fallimenti del mercato, intesi come l’impossibilità dei mercati di poter raggiungere l’equilibrio economico generale in quanto non in grado di organizzare la produzione in maniera efficiente o di non allocare efficientemente beni e servizi ai consumatori. Un bene è considerato pubblico quando risponde a due caratteristiche fondamentali. Una prima caratteristica risiede nella indivisibilità o non rivalità, che ne permette il consumo da parte di una persona senza impedirne l’utilizzo da parte di un altro individuo. La seconda caratteristica di un bene pubblico è la non escludibilità, nel senso che i costi per escludere gli individui non paganti dalla possibilità di impiego del bene sarebbero troppo alti da sostenere per un’impresa privata che tenti di massimizzare i propri profitti nella ricerca di un’efficienza allocativa. In mercati perfettamente concorrenziali, l’efficienza allocativa di risorse è determinata dall’incontro spontaneo tra la domanda e l’offerta, a loro volta scandite dalle scelte di consumo e di produzione degli attori economici, all’interno di un sistema statale in cui si dia per scontato che i cittadini operino le loro scelte sulla base di un calcolo razionale incoraggiato dalla presenza di una forma di governo democratica, in cui la difesa dei diritti di proprietà e l’efficiente amministrazione della giustizia (­­rule of law) facciano percepire che la tutela delle libertà fondamentali sia una imparziale priorità da parte del legislatore. L’equilibrio generale è, quindi, definibile come il punto in cui le decisioni indipendenti sia dei consumatori che massimizzano l’utilità, sia delle imprese che massimizzano i profitti si intersecano, conducendo all’inevitabile instaurazione di una situazione di equilibrio simultaneo di domanda e offerta in tutti i mercati e, conseguentemente, all’uguaglianza tra beneficio e costo marginale per ogni bene e servizio. La concorrenza perfetta, in un mercato in equilibrio, si verifica quando: la libertà di ingresso nel mercato è piena; nessuna delle decisioni individuali di imprese e consumatori è in grado di influenzare i prezzi di mercato; vi sia omogeneità nel prodotto; non vi siano asimmetrie informative e, perciò, vi sia completa trasparenza del mercato… (segue)



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