La disamina dei modelli elettorali, quando pone l’attenzione sulla dicotomia rappresentanza/governabilità, è portata normalmente a privilegiare un punto di osservazione particolarmente alle ragioni della maggioranza e meno alla complementare prospettiva che si riconnette al ruolo di minoranza. Il presente studio intende, invece, esaminare i meccanismi giuridici che concorrono al definirsi della condizione di maggioranza e minoranza/minoranze nei Comuni da parte delle diverse forze politiche che partecipano alla competizione elettorale, precisando che il concetto di minoranza/e sarà necessariamente tenuto distinto da quello di opposizione, laddove, mentre il primo termine comprende - com’è noto - tutti coloro che sono esterni al rapporto fiduciario, il secondo nel riferirsi «[…] all’alternatività del programma politico rispetto a quello della maggioranza […] può dunque essere anche soltanto una parte della minoranza […]» ben potendo un soggetto appartenere alla minoranza senza essere membro dell’opposizione. Lo studio, pertanto, dovrà prendere le mosse dalla disciplina legislativa contenuta nella l. 81/1993 sull’elezione diretta dei sindaci che, com’è noto, ha rappresentato - al momento della sua approvazione - l’espressione dell’emergere di un nuovo orientamento che, nel condannare in blocco una intera “classe politica” per essersi, nel giudizio comune, resa responsabile della diffusa inefficienza delle istituzioni e della corruzione, ha superato i tradizionali “luoghi” della mediazione, promuovendo la figura del leader carismatico e della carica monocratica nel tentativo di soddisfare una avvertita esigenza di stabilità. Nel passare da una forma di governo a tendenza assembleare ad una con investitura diretta del capo dell’esecutivo - la cui elezione è diventata contestuale e simultanea a quella dell’assemblea rappresentativa - con introduzione della clausola del simul stabunt, simul cadent, la l. 81/1993 segna la discontinuità rispetto alla originaria forma di governo locale. A ciò si aggiunge un sistema elettorale di sostegno la cui tecnica di trasformazione dei voti in seggi assicura all’esecutivo - sia pure solo tendenzialmente, come si vedrà - una salda maggioranza consiliare, in grado cioè di garantire - salvo mozione di sfiducia - una continuità fiduciaria per l’intera durata della legislatura. Da questo quadro totalmente trasformato, accanto ad una maggioranza tendenzialmente rafforzata, si determina - o dovrebbe determinarsi - un nuovo ruolo anche per la minoranza. Analizzare quest’ultimo profilo impone di tener conto, in primo luogo, della distinzione adottata dal legislatore ai fini della formulazione di due diverse discipline: una prima, relativa solo ai Comuni fino a 15.000 abitanti e una seconda, per i Comuni oltre i 15.000 abitanti. Dall’esame della l. 81/1993 - successivamente confluita nel T. U. degli Enti locali (d.lgs. 267/2000) - emerge chiaramente che il legislatore nel primo caso si è orientato verso un sistema di tipo maggioritario e, nel secondo, ha invece optato per una legge proporzionale corretta, con la previsione di un “premio di maggioranza” eventuale. Dopo aver, quindi, approfondito lo studio dei modelli, l’attenzione verrà posta sulle recenti consultazioni comunali e sul (fallito) tentativo del legislatore di apportare alcuni correttivi al sistema elettorale per i Comuni superiori ai 15.000 abitanti in quanto la scelta di dare conto di tali esperienze si lega all’intento che anima il presente lavoro di verificare il rapporto tra aspettative (quelle alimentate dalla legislazione) ed esiti (quelli prodotti dal diritto vivente)… (segue)
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