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NUMERO 12 - 06/06/2018

 Dall'accesso generalizzato in materia ambientale al Freedom of information act

La Convenzione di Aarhus costituisce il documento normativo di maggiore impatto prodotto dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite tenutasi a Stoccolma del 1972. La Conferenza sull’Ambiente umano vide il riconoscimento, per la prima volta, del principio dello sviluppo sostenibile. Lo sviluppo sostenibile risponde alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie. Una rinnovata visione del rapporto con la natura si basa sulla necessità di conferire espressa tutela alle prossime generazioni alla luce di una nuova sensibilità che si lega indissolubilmente alle tematiche ambientali. Il principio dello sviluppo sostenibile si fonda sulla regola dell’equità declinata sia in senso intergenerazionale che intragenerazionale. Tale obiettivo viene meglio definito in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 in cui si sottolinea che il diritto al progresso deve essere esercitato compatibilmente con uno sviluppo sostenibile e con le esigenze delle generazioni presenti senza trascurare quelle che verranno. Una responsabilità, dunque, nei confronti delle risorse ambientali che vede coinvolti non più i singoli Stati separatamente, l’uno indipendentemente dalle azioni dell’altro, ma che pretende l’impegno per la realizzazione di un’azione globale e sinergica. Il legislatore italiano con il d.lgs. n. 4 del 2008 introduce (art. 3-quater) il principio dello sviluppo sostenibile correlato alla tutela delle generazioni presenti e future e impone alla pubblica amministrazione di tenere in prioritaria considerazione, nell’ambito della scelta comparativa d’interessi pubblici e privati connatata da discrezionalità, gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale. Prende avvio da tali presupposti fondativi il principio secondo cui i danni causati all’ambiente devono gravare esclusivamente sui responsabili delle situazioni di contaminazione. Il principio del “chi inquina paga” previsto nell’art. 3-ter del medesimo d.lgs. si basa proprio su questo assunto e permette di far ricadere i costi destinati alla protezione dell’ambiente su chi provoca il degrado. In tal modo, s’incoraggiano gli imprenditori a ridurre le emissioni inquinanti causate dalle proprie attività, ricercando prodotti e tecnologie innovative, in grado di assicurare il minor impatto possibile sulle risorse ambientali. L’introduzione di tale principio si basa sul convincimento che produttori e consumatori vengono indotti a scegliere alternative meno inquinanti proprio per evitare le sanzioni a carico dell’inquinatore. Gli incentivi per incoraggiare l’utilizzo di tecniche meno dannose per l’ambiente possono essere di natura economica, creditizia o fiscale, accompagnate da misure che fungono da stimolo all’innovazione tecnologica. Infatti, l’inquinamento, dal punto di vista economico, crea un’inefficiente allocazione delle risorse. Le Istituzioni pubbliche sono chiamate a intervenire proprio al fine di correggere le alterazioni dell’ecosistema. E’ necessario un modello pubblico di regolazione, attraverso cui si attribuisce un prezzo al bene ambiente in modo da costringere le imprese a ridurre le emissioni inquinanti e a sopportare i costi per gli opportuni adeguamenti del processo produttivo. E tuttavia il principio del “chi inquina paga” sconta il fatto di essere una tecnica riparatoria, chiamata a svolgere per sua naturale vocazione un ruolo di chiusura in quanto misura di contrasto rispetto al comportamento colpevole dell’operatore che pone in essere condotte contrarie ai principi imposti dagli atti di regolazione. Fin dal Trattato di Roma del 1957 il principio di prevenzione ha costituito un concetto chiave per la costruzione di un modello normativo preordinato alla salvaguardia delle risorse naturali. Esso trova esplicita accoglienza nel 1986 con l’adozione dell’Atto Unico Europeo. La disposizione contenuta nell’art. 130 R, attraverso il collegamento tra prevenzione e correzione dei danni causati all’ambiente, mette in luce l’esigenza di un favor per l’azione preventiva rispetto all’attività di correzione, che rappresenta una misura di extrema  ratio, volta a fronteggiare le alterazioni ambientali già verificatesi.  I documenti internazionali e quelli comunitari dedicano la loro attenzione agli strumenti di natura preventiva. I principi dell’azione preventiva e della precauzione si collocano in una posizione di assoluta priorità nell’attuazione delle politiche europee. In particolare, l’art. 174, comma 2 del Trattato dell’Unione europea si ispira a tali principi, impegnando l’Unione nell’elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell’ecosistema e la gestione oculata delle risorse naturali del pianeta. Il principio di prevenzione assume una portata di carattere generale e si prefigge la predisposizione di misure protettive per evitare che il danno all’ambiente si produca. Il concetto di precauzione costituisce una sua declinazione applicativa, una sua modalità di attuazione. Tuttavia, tra i due principi sussiste una differenza fondamentale poiché il meccanismo della precauzione – al contrario di quel che avviene per la prevenzione – si aziona anche quando è assente la certezza scientifica che un comportamento provochi nocumento per l’ambiente. In ogni caso azione preventiva e principio precauzionale rappresentano regole che contribuiscono in maniera significativa a prevenire i pericoli, anche meramente potenziali, alla salute umana, alla sicurezza, all’ambiente. Qualora “le informazioni scientifiche siano insufficienti, non conclusive o incerte e vi siano indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto” l’ordinamento comunitario predispone una serie di strumenti capaci di scongiurare il verificarsi dell’evento dannoso. La valutazione delle informazioni disponibili è uno degli aspetti di maggior interesse per quanto riguarda l’applicazione del principio di precauzione. Secondo il legislatore comunitario, soltanto se dopo un’accorta analisi dei dati conoscibili continua a permanere una situazione di incertezza sul piano scientifico e venga individuata la possibilità di effetti dannosi sulla salute possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio. In altre parole, il principio di precauzione richiede un approccio anticipatorio  dei fenomeni legati all’ambiente e al patrimonio naturale tutte le volte in cui i danni che possono derivare all’ecosistema devono considerarsi irreversibili. Nella consapevolezza che il processo di modernizzazione ha “dato vita a quella che, emblematicamente, è stata denominata società del rischio”, la ricerca di un punto di equilibrio tra il progresso tecnologico e industriale e i rischi che ne derivano assume un ruolo centrale. Sicché, al fine di prevenire il verificarsi di tali eventi pregiudizievoli bisogna porre in essere misure di contrasto in una fase antecedente a quella in cui il danno si è prodotto, addirittura quando non esiste ancora la certezza di una prova scientifica… (segue)



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