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Lo statuto dei gruppi parlamentari ha carattere, lato sensu, pattizio. Non saprei dire se ha natura strettamente contrattuale o integra una “convenzione” che regola anche attività non esaustivamente valutabili sul terreno patrimoniale. Sul punto, del resto, esiste una qualche discussione in dottrina. La clausola che prevede una sanzione per inosservanza della disciplina del movimento (clausola penale) è da ritenere, comunque, radicalmente nulla, perché in contrasto con “l’ordine pubblico” (applicazione diretta o analogica dell’art. 1343 c. c.) e, segnatamente, con il principio di un esercizio dell’attività parlamentare esente da vincoli di mandato (art. 67 Cost.). La nullità di questa clausola potrebbe esser fatta valere in tutte le sedi giudiziarie nelle quali se ne pretendesse l’adempimento o, comunque, se ne discutesse. Problema ulteriore è se la nullità di questa clausola possa essere fatta valere (e da chi) anche senza attendere una pretesa del gruppo parlamentare che tragga fondamento da quanto dispone. Un’ipotesi potrebbe essere quella di un giudizio incidentale relativo ad una qualsiasi legge approvata dalle nuove camere che facesse valere come vizio di questa la coartazione del dibattito parlamentare originata dallo statuto di un suo gruppo non certo secondario. L’ipotesi è tortuosa e di successo incerto, perché in genere si nega possa aver rilievo sulla validità della legge lo stato soggettivo dei singoli parlamentari, a differenza dei vizi che possono inerire alla funzione oggettivamente intesa (difetto di istruttoria parlamentare, acquisizione di dati inesatti, etc.). Ciò è stato confermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 14 del 1965, per cui (punto 2 “in diritto”, alla fine): “L'art. 67 della Costituzione, collocato fra le norme che attengono all'ordinamento delle Camere e non fra quelle che disciplinano la formazione delle leggi, non spiega efficacia ai fini della validità delle deliberazioni; ma è rivolto ad assicurare la libertà dei membri del Parlamento. Il divieto del mandato imperativo importa che il parlamentare è libero di votare secondo gli indirizzi del suo partito ma è anche libero di sottrarsene; nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito”. Cfr., in senso conforme, Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2002, n. 3191 (con riguardo a voto dato in Consiglio comunale). E, peraltro, la condizione soggettiva dei membri delle camere, anche se non rileva ai fini della validità dei singoli atti, può assumere rilievo ai fini del complessivo corretto funzionamento dell’istituto di rappresentanza del popolo… (segue)
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