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Per la prima volta, in settant’anni di Parlamento repubblicano, un gruppo parlamentare, sia alla Camera che al Senato, ha previsto nel proprio statuto una penale economica per il membro che lo abbandona o ne viene espulso in virtù di un dissenso sulla linea politica del partito sottostante. Questa previsione apre un faro sulla tempesta della rappresentanza, sul valore normativo dell’art. 67, Cost. e sulla sua attualità, in questa fase della storia repubblicana. E’ impossibile nascondersi che la penale nasce da un esigenza diffusamente avvertita da una parte non più marginale del corpo elettorale e che l’equilibrio fra Costituzione materiale e Costituzione formale stenta a trovare un assestamento attraverso la dinamica della rappresentanza partitica. Si è detto, con una parola che un po’ disturba, che l’art. 67, Cost. sta conoscendo una seconda “giovinezza”. L’infanzia dell’art. 67, Cost. è Corte cost. 14/1964, quando la Corte investita della questione di legittimità costituzionale di una legge, la legge sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica, approvata con una maggioranza di cui facevano parte parlamentari che dichiaravano di votare a favore della legge non per convinzione personale ma per disciplina di partito, affermò che il divieto di mandato imperativo non riguarda la formazione delle leggi ma l’organizzazione delle Camere e non impedisce a un parlamentare di rispettare le direttive del partito che lo ha eletto ma solo che non può essere sanzionato se non le rispetta. Il divieto di mandato imperativo è tornato di moda quando la Corte lo ha usato contro le leggi elettorali, sia con la sentenza 1/2014 che con la 35/2017. Corte cost. 1/2014 ha dichiarato l’incostituzionalità delle liste bloccate previste dalla legge 270/2015, perché impedendo agli elettori di conoscere gli eletti che hanno contribuito a eleggere rappresentano un ostacolo al corretto formarsi della rappresentanza e quindi violavano l’art. 67, Cost. e lo stesso principio è stato affermato da 35/2017, nella parte in cui ha respinto i dubbi di legittimità costituzionale relativi alla ipotesi di traslazione dei seggi da un collegio all’altro perché tale ipotesi era del tutto residuale e non faceva venire meno il collegamento fra la rappresentanza e il collegio (par. 10.2 del Considerato in diritto). Le sentenze elettorali della Corte costituzionale sono perfettamente consapevoli della crisi della democrazia dei partiti e di come la stessa sia divenuta probabilmente irreversibile, ma anche di quanta distanza vi sia fra i partiti politici che componevano la Costituzione materiale nel momento in cui la Costituzione è stata elaborata e i partiti politici con cui si confrontano gli elettori oggi… (segue)
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