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NUMERO 13 - 20/06/2018

 Lo status dei parlamentari osservato con la lente della disciplina interna dei gruppi. Gli argini (necessari) a difesa dell'art. 67

Condivido, di base, la forte preoccupazione per i molteplici segni dell’indebolimento (altrettanto forte) della cultura costituzionale nel nostro Paese espressa sia nella lettera di invito a questa tavola rotonda inviata dall’on. Riccardo Magi, sia negli interventi dei colleghi che abbiamo appena ascoltato.E' noto che entrambi i Regolamenti parlamenti disciplinano la struttura dei Gruppi all'insegna di un minimalismo che tradisce la prudenza nel non affrontare e magari contribuire a risolvere l’antica querelle circa la loro natura giuridica (ancora oggi c’è in dottrina chi sostiene ognuna di queste tre diverse soluzioni: natura privatistica, pubblicistica e mista). In risposta al discredito generato dalla diffusione delle notizie sui fatti e sulle condotte, anche penalalmente rilevanti, relative alla gestione finanziaria di alcuni Gruppi, con le riforme dei Regolamenti delle Camere del 2012 e, di nuovo, del Senato del 2017 sembra che si sia scelta una soluzione di “compromesso”. Oggi tale prudenza degli estensori dei regolamenti parlamentari continua ad apparire almeno comprensibile, tanto è complesso il sistema su cui retroagiscono le disposizioni che riguardano i Gruppi. Innanzitutto la legge elettorale: quando il sistema era sostanzialmente maggioritario e favoriva la bipolarizzazione degli schieramenti politici, si è, ad esempio, cercato di spingere l’interpretazione dell’art. 72 Cost. (principio di proporzionale rappresentanza in seno ai collegi parlamentari) nel senso di garantire il necessario predominio numerico delle maggioranze nel controllo di ciascuna Commissione parlamentare e, con esso, di offrire un aiuto alla stabilità del governo; oggi le cose sono molto cambiate… (segue)



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