Ripercorrendo il cammino comunitario nelle sue varie stagioni è indubbio che a cavallo del Secolo scorso si parlasse dell’avvento dell’Europa delle Regioni come di un passaggio che avrebbe potuto essere cruciale per l’Europa, e foriero di sviluppi di enorme rilievo, almeno dal punto vista di un mutamento di architettura istituzionale nelle relazioni UE- Stati. Il tema iniziò a prendere piede negli anni '80 sotto la presidenza di Jacques Delors. In questo periodo, la proverbiale “cecità” di Bruxelles nei confronti delle diverse forme di decentramento degli Stati membri pareva si potesse superare e, per la prima volta, si ventilava l'ipotesi di un rafforzamento dei territori infra-statuali, rispetto all’originaria idea di Spinelli e di Rossi, che nell’aspirazione federalista avevano colto maggiormente l’aspetto dell’”abbattimento” delle sovranità nazionali finalizzato alla pace e alla prosperità. Un primo rafforzamento si ebbe con l’Atto Unico Europeo e prese la forma del concetto di coesione economico e sociale che, al di là dell’idea della dimensione sociale comunitaria, prefigurava indubbiamente l’idea di una Europa di territori “omogenei”. L’art. 158 del Trattato comunitario stabilisce infatti che «per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme della Comunità, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica e sociale», specificando che ciò comporta principalmente la riduzione del «divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite o insulare, comprese le zone rurali». Successivamente l’Europa dei territori assunse anche altre accezioni, come dimostra l’ampia letteratura che si sviluppò intorno al principio di sussidiarietà e, soprattutto, al Comitato delle Regioni che, secondo alcuni avrebbe potuto assumere la configurazione di Seconda Camera rispetto al Parlamento europeo. In seguito al fallimento del Trattato Costituzionale nel 2005, l'immagine delle Regioni nell'Unione europea mutò nuovamente e l'interesse si è spostato sul ruolo dell'UE nella promozione delle Regioni non tanto come enti di differenziazione istituzionale ma, piuttosto, come motori di integrazione europea. L'obiettivo dell'integrazione avrebbe, infatti, potuto essere meglio raggiunto attraverso strategie mirate di sviluppo economico, infrastrutturale e di coesione sociale aventi carattere sia transfrontaliero. Tali politiche di sviluppo, in combinazione con quelle di consolidamento finanziario rivolte agli Stati, si sono quindi giustificate nell'ottica di una maggiore omogeneità del mercato comune e hanno condizionato il dibattito pubblico sulle autonomie anche a livello nazionale… (segue)
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