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Il tema del carattere costituzionale dei trattati istitutivi degli enti d’integrazione europea ha natura carsica, dato che, periodicamente, affiora e poi riaffonda nel dibattito giuridico-istituzionale. Ricordo a me stesso che quando si parla di carattere costituzionale dei trattati si vuole intendere, in estrema sintesi, che il diritto posto dagli Stati mediante il fatto normativo che si concreta nell’accordo istitutivo costituisce in una certa misura il diritto costituzionale dell’ente. Invero, nell’atto in cui si manifesta il detto potere costituzionale prende vita l’ordinamento giuridico del quale l’ente è portatore. Si tratta, all’evidenza, di un tema classico del costituzionalismo moderno, sul quale si sono confrontati i massimi studiosi del diritto pubblico, del diritto internazionale e del diritto europeo, per cui sarebbe vano cercare di fornire in questa sede un quadro, seppure parziale, della imponente letteratura. È un tema, inoltre, che si sbaglierebbe a ritenere soltanto teorico, in quanto dall’impostazione accolta discendono conseguenze significative sia quanto alla natura stessa degli enti d’integrazione europea (dalla primigenia CECA all’attuale Unione europea) sia quanto all’autonomia dell’ordinamento giuridico europeo sia, ancora, circa i metodi di interpretazione delle sue norme. Un tema, infine, che investe le nozioni di “comunità”, di “unione”, di “confederazione”, di “federazione”, di “federazione di Stati nazione”, di “costituzione” e di “trattato-costituzionale”, concetti che hanno suscitato non solo un’actio finium regundorum fra costituzionalisti ed internazionalisti ma anche, addirittura, tra questi ultimi e gli e studiosi del diritto dell’Unione europea. Mi propongo di illustrare questi profili, sicuramente complessi e centrali nell’ambito del diritto europeo, avvalendomi del noto aforisma nani gigantum humeris insidentes: salirò quindi sulle spalle di due giganti del diritto, che hanno profondamente indagato questa tematica, due studiosi che mi sono stati Maestri di scienza e di vita, cercando di ricostruirne fedelmente il pensiero. Mi riferisco, come ovvio, a Riccardo Monaco e a Giuseppe Federico Mancini, accademici che, pur provenienti da ambiti disciplinari non contigui – il diritto internazionale ed il diritto del lavoro – hanno avuto entrambi un momento comune ed unificante nell’evoluzione dei loro interessi scientifici nell’attività svolta a Lussemburgo, quasi in successione, tra il 1965 ed il 1999, nella funzione di architetti in quella grande fabbrica del diritto europeo che è la Corte di giustizia… (segue)
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