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NUMERO 17 - 12/09/2018

 L'AGCM fra legittimazione a sollevare qlc ed evocazione della 'zona franca'

Chiunque si occupi (o si sia occupato) di giustizia costituzionale sa quanto sia difficile rintracciare una sufficientemente definita linea di tendenza nella giurisprudenza costituzionale in tema di legittimazione a sollevare le questioni di legittimità costituzionale in via incidentale (su questa giurisprudenza v., fra i tanti: A. ODDI, Le zone d'ombra della giustizia costituzionale: i giudizi sulle leggi - il procedimento in via incidentale. La nozione di giudice a quo, in Consultaonline, 2006; C. PINELLI, La nozione di giudice a quo, in A. PACE [a cura di], Corte costituzionale e processo costituzionale, Milano, 2006, 838 e, più di recente, A. PATRONI GRIFFI, Accesso incidentale e legittimazione degli “organi a quo”, Napoli, 2012). Non che manchino in materia decisioni magisteriali tese a delineare gli indici alla cui stregua misurare il tasso di giurisdizionalità necessario ad integrare le nozioni di giudice e di giudizio, ai sensi degli artt. 1 legge cost. n. 1 del 1948 e 23 l. n. 87 del 1953, o a determinare linee di condotta cui attenersi in futuro. Solo che, mentre da un verso tali linee hanno mostrato una certa variabilità in presenza di mutamenti del contesto sistematico, dall’altro non di rado l’utilizzo di quei medesimi indici è risultato essere incostante, in ragione dell’intermittenza del ricorso ora all’uno, ora all’altro, al fine di affermare o, per converso, negare l’ammissibilità della prospettata questione di costituzionalità sotto il profilo della legittimazione a sollevarla. Ad offrire un significativo apporto non è risultata particolarmente utile neppure la riflessione dottrinaria in punto di distinzione in astratto fra ciò che nell’ordinamento ha da esser qualificato come amministrazione e ciò che invece va ascritto all’area della giurisdizione, stanti una certa qual opacità concettuale nel processo originario di separazione e la permanenza di uno stato di incertezza nella definizione dei fattori discriminanti, tale da determinare una serie di situazioni “grigie” della cui ambivalenza lo stesso uso linguistico si fa palmare rappresentazione con il conio di formule quali: “para-giurisdizionalità” o “amministrazione giustiziale” (cfr., in proposito, la recisa presa di posizione della Corte di Cassazione che ha escluso esserci nell’ordinamento un «tertium genus tra amministrazione e giurisdizione» [C. Cass., Sez. Un. Civ., 20 maggio 2012, n. 7341]). Del resto, la Corte, assai pragmaticamente, ha mostrato di prescinderne, là ove ha inteso seguire – come noto – la via della identificazione di una giurisdizionalità “dedicata” al solo giudizio di legittimità costituzionale, forgiando la celebre formula del giudice “ai limitati fini della sollevabilità della questione”. Anzi, a stare ad un’autorevole (e abbastanza condivisa) opinione dottrinaria G. ZAGREBELSKY, Giustizia costituzionale, vol. II, Bologna, 2018, 105), la teorica dei “limitati fini” e l’idea dello sdoppiamento della figura giudiziale, a seconda che ci si muova sul piano dell’ordinamento generale o nell’ambito specifico della interlocuzione col solo giudice costituzionale, sarebbero, in realtà, espressive di una logica presente nella giurisprudenza costituzionale anche al di là dei casi di dichiarazione esplicita, come dimostrato, ad esempio, da quel complesso di decisioni che già a partire dagli anni sessanta ha portato a diverse declaratorie di incostituzionalità di norme riguardanti alcuni (pretesi) giudici per carenza di indipendenza e terzietà. Affermazione, tuttavia, che a giudizio del sottoscritto andrebbe parzialmente rivista, dovendosi semmai circoscrivere ad un paio di casi – quelli riguardanti i Consigli comunali e provinciali in sede di contenzioso elettorale (es. sent. n. 93 del 1965) e i Comandanti di porto nell’esercizio della competenza giurisdizionale in campo penale per le contravvenzioni in materia di navigazione marittima (es. sent. n. 121 del 1970) – nei quali il giudice riconosciuto privo dei necessari requisiti di indipendenza e terzietà è risultato essere anche quello che aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale. Non così nelle altre ipotesi pure invocate (così, da ultimo, E. CANALE, La nozione di “giudice a quo”: l’AGCM è legittimata a sollevare ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, in corso di pubblicazione in Rivista del gruppo di Pisa, 3/2018). Ad ogni modo, quel che è certo è che con la formula della giurisdizionalità “ai limitati fini” la Corte ha abbracciato l’idea di una giurisdizione “in senso debole” che, pur non potendo vantare una piena conformità al modello costituzionale di giurisdizione, fosse tuttavia sufficiente a radicare la legittimazione a promuovere l’incidente di costituzionalità soprattutto ad opera di soggetti non incardinati nell’ordine giudiziario. Non solo, essa è stata utile per ovviare al problema di dover prender partito sulla questione della conformità al divieto costituzionale di istituire giudici speciali o straordinari di cui all’art. 102 cpv. Cost. che, altrimenti, si sarebbe potuto porre dinanzi a giurisdizioni, per dir così, “eccentriche”... (segue)



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