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NUMERO 17 - 12/09/2018

 Il contratto a tutele crescenti sotto la scure della Corte costituzionale

L’introduzione del nuovo contratto a tutele crescenti rappresenta, sicuramente, una svolta epocale all’interno degli equilibri e delle dinamiche del diritto del lavoro. Certo, la dottrina giuslavoristica ormai da tempo, quantomeno dalla fine degli anni ’70, si interroga sui forti cambiamenti che interessano la propria disciplina - legati a molteplici fattori come l’avvento del post-fordismo, la globalizzazione e la crisi dello Stato sociale così come conosciuto nei Trenta gloriosi, la dominante ideologia neo-liberale e neo-mercatista, ecc - e sembra trovarsi in un faticoso e forse inevitabile cammino di ri-definizione, di ricerca del proprio statuto, di una nuova epistème.  Leggendo qualsiasi rivista o monografia di diritto del lavoro la parola che più risalta agli occhi è sicuramente ripensamentoripensamento di una disciplina che, come ricorda un Maestro, forse più di tutte le altre è strettamente legata alla Storia del Secolo breve. La differenza però, a questo tornante riformatore, si ritrova nella specificità del decreto legislativo n.23 del 2015, che non si è semplicemente inserito all’interno del filone di bulimia legislativa che ha colpito, negli ultimi venti anni questa branca del diritto, ma è intervenuto nel modificare il centro del micro-sistema del lavoro, il pivot della galassia giuslavoristica: il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Fino ad ora, infatti, non sono sicuramente mancati interventi riformatori incisivi - basti pensare al Pacchetto Treu o alla Legge Biagi o alla stessa riforma Fornero, per citare i più rilevanti - ma questi non hanno mai “attaccato” frontalmente il contratto di lavoro subordinato, su cui tutto un micro-sistema e una cultura giuridica di matrice novecentesca si era costruita e formata. Non è una considerazione di poco conto perché, a questo punto, il Jobs Act e l’introduzione del nuovo contratto a tutele crescenti vanno considerate come lo zenit di un movimento riformatore che trova, solo ora, una - forse ancora parziale, ma sicuramente incisiva - realizzazione. Intervenire sulla tipologia contrattuale del lavoro subordinato a tempo indeterminato non può non evidenziare - provando a interpretare le intenzioni più profonde del legislatore - una volontà chiara di modificare la stessa concezione dell’homme de travail del post-Costituzione del ’48 (sempre per citare Romagnoli) verso l’attribuzione di un nuovo valore, non solo giuridico, ma anche antropologico e sociale di questo contratto (rapporto). Non a caso, nella letteratura giuslavoristica, viene spesso richiamato il noto epistemologo Kuhn, proprio per segnalare questo «cambiamento di paradigma scientifico» che è avvenuto con la riforma del Jobs Act in questa branca del diritto; la certificazione del superamento di una certa «scienza normale» lavoristica, che si era fondata su un certo tipo di garantismo progressivo della posizione del soggetto debole del rapporto di lavoro, e che diventa ora, come spiegherebbe Kuhn, obsoleta rispetto al progredire del dato normativo (politico). Se tutto questo è vero e se è vero che il sole attorno a cui ruota il sistema del Jobs Act è l’introduzione del contratto a tutele crescenti, si capisce bene che si è davanti a un terremoto. E, per di più, sarebbe miope pensare che questo terremoto abbia solo effetti centripeti e limitati nel diritto del lavoro, quasi come se quel diritto fosse una monade incomunicante nel tessuto ordinamentale. La portata, invece, di una riforma di questo tipo ha, per una naturale vocazione centrifuga, impatti sul sistema latu sensu costituzionale. Non si può infatti negare che, in un ordinamento costituzionale in cui «il lavoro» fonda la Repubblica una modificazione di tal portata non intacchi anche gli stessi fondamenti costituzionali del vivere della polis. Questo cambiamento di «paradigma scientifico» a cui fanno riferimento i giuslavoristi non può, dunque, non interessare anche i costituzionalisti per gli impatti che tutto questo ha in un ordinamento costituzionale in cui, unanimemente, il «principio lavorista» viene riconosciuto come perno dell’edificio repubblicano. La declinazione che lo Stato sociale ha avuto in Italia, infatti, a differenza di altri ordinamenti continentali, passa attraverso una fortissima valorizzazione della dimensione del lavoro – o come direbbe Mortati ne è il suo fondamento etico - come veicolo-traino per accedere a quel progetto costituzionale di continua integrazione politica e sociale. Non si può, quindi, pensare che una riforma di tal calibro non obblighi il costituzionalista a porsi dei quesiti a largo spettro sulle implicazioni che questa nuova concezione del lavoro porta inevitabilmente con sé. Ad esempio, come si declinano lavoro e Costituzione nel XXI secolo? In che modo la visione “costituzionale” del lavoro si lega a doppio filo allo sviluppo dello Stato costituzionale? Qual è il fil rouge che la Costituzione traccia tra lavoro e cittadinanza?  Domande affascinanti e di avvertita urgenza con cui però rinviamo ad altra sede il confronto, dopo una più approfondita riflessione. Tutto al contrario questo articolo ha un proposito molto più ridotto e mirato, seppur strettamente collegato: l’analisi dell’ordinanza del Tribunale di Roma che ha sollevato diversi dubbi di costituzionalità sul contratto a tutele crescenti. La risposta che verrà data dalla Corte costituzionale non potrà non considerare anche queste implicazioni costituzionali di “sistema” sul valore costituzionale del lavoro, insieme a valutazioni più strettamente tecnico-giuridiche. Sarebbe scorretto, infatti, partire dall’opinione secondo cui ogni intervento normativo politicamente “cattivo” sia necessariamente incostituzionale, ma è facile comprendere come il giudizio della Corte, in particolare in questo caso, inciderà fortemente sull’interpretazione degli articoli della Costituzione che di lavoro parlano. Bref, un compito difficile ed estremamente delicato. Tuttavia, il commento che si cercherà di proporre in questo scritto si limiterà ad esaminare solo alcuni profili di costituzionalità sollevati dal Tribunale attraverso lo strumentario tipico del costituzionalista, cercando di evidenziare infine dei parziali spunti di riflessione ulteriore che questa ordinanza offre l’occasione di sviluppare… (segue)



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