In Italia, il "diritto all'informazione amministrativa" (e la sua azionabilità dinanzi agli organi della giurisdizione, o dinanzi ad altri organismi indipendenti) ha richiesto molto tempo per essere riconosciuto, e anche oggi, nonostante l’approvazione del cosiddetto Codice della trasparenza, non può considerarsi pienamente realizzato. Il punto di fondo è che il nostro legislatore, nell’introdurre l’accesso civico generalizzato, non ha compiuto una scelta netta sulla configurazione di questo potente strumento di trasparenza, la cui tutela oscilla pericolosamente tra quella tipica dei diritti fondamentali della persona e il sostegno accordato alle tecniche di contrasto alla corruzione. I fattori che contribuiscono a determinare questa ambiguità di fondo sono molteplici. Il più importante, anche se meno evidente, è ascrivibile alla laconicità della nostra Carta costituzionale in riferimento al diritto all’informazione: le debolezze dell’art. 21 Cost. vengono proiettate, come altrettanti vizi d’origine, sulle leggi che si sono succedute nel corso degli anni per realizzare l’obiettivo della “trasparenza amministrativa”. Com’è noto la nostra Costituzione si cura esclusivamente del profilo attivo della libertà di espressione, trascurando o comunque affidando all’opera degli interpreti l’affermazione di uno speculare diritto passivo di essere informati (o riflessivo di informarsi). Così, il diritto di manifestazione del pensiero, “pietra angolare dell’ordine democratico” (Corte cost. 84/1969), si vede privato di alcune dimensioni assolutamente centrali nella dinamica democratica. A dispetto dell’impostazione monodimensionale seguita dal nostro Costituente, assai limitata rispetto ad altre Carte costituzionali e alle più importanti Dichiarazioni dei diritti internazionali, il profilo passivo/riflessivo del diritto di informazione merita una protezione altrettanto forte di quello attivo: in proposito basti pensare che la libera formazione dell’opinione pubblica, da cui dipende direttamente il corretto funzionamento dell’intero sistema democratico, impone il riconoscimento da parte dell’ordinamento - sia sul piano concettuale sia su quello del diritto positivo - della pretesa a ricevere informazioni, a conoscere quante più idee, opinioni e informazioni sia possibile, in modo da favorire il sorgere nei cittadini di una coscienza critica e di un’opinione consapevole. Un confronto con la vicina Spagna, dove il livello di protezione del diritto di accesso è per molti aspetti più avanzato, è utile a chiarire il punto. La Costituzione spagnola del 1978, molto più "recente" e moderna della Costituzione italiana, non solo afferma il diritto di «comunicare o ricevere liberamente informazioni veritiere attraverso qualsiasi mezzo di diffusione» [art. 20.d], ma riconosce esplicitamente il "diritto dei cittadini di accedere agli archivi e ai registri amministrativi, tranne che in questioni che riguardano la sicurezza e la difesa dello Stato, indagine sui crimini e sulla privacy delle persone» (art. 105.b). I commentatori avvertono che questa disposizione non realizza fino in fondo il diritto all’informazione amministrativa (gli archivi non esauriscono tutte le informazioni pubbliche), che questo diritto non è inserito tra l’elenco dei diritti fondamentali dell’individuo, bensì nella sezione dedicata al governo e all’amministrazione; tuttavia, è innegabile che questa norma fornisca una solida base di appoggio per affermare l’esistenza di un diritto dell’individuo a ricercare e ottenere buona parte delle informazioni nella disponibilità delle pubbliche amministrazioni. Al contrario, nella nostra Carta costituzionale manca completamente una base giuridica al diritto dei cittadini di “essere informati” e di “informarsi”, e senza dubbio questa lacuna ha contribuito notevolmente alle esitazioni del legislatore ordinario nel configurare l’accesso civico generalizzato in termini di libertà/diritto individuale o strumento anticorruzione. Andando direttamente alla fonte della disciplina sulla trasparenza, ossia la legge FOIA (Freedom of Information Act) nordamericana del 1966, presa universalmente a paradigma di tutta la legislazione mondiale in materia di disclosure e trasparenza pubblica (a cui si ispirano oltre 100 paesi nel mondo), si rileva che essa attribuisce un diritto di accesso ai documenti pubblici “to any person”, inclusi gli stranieri e le persone giuridiche. La legislazione FOIA nordamericana riconosce un diritto della persona a tal punto esteso da consentire fenomeni di abuso del diritto e istanze per finalità puramente egoistiche, anche laddove tali istanze non siano funzionali alla trasparenza pubblica o addirittura disfunzionali rispetto al buon andamento dell’amministrazione. Nel sistema statunitense, in altre parole, la trasparenza è un mezzo per soddisfare il diritto/libertà dell’individuo di essere informato, di partecipare alla vita democratica e non costituisce un fine in sé, meritevole di essere perseguito in quanto tale… (segue)
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