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NUMERO 19 - 10/10/2018

 Gli insegnamenti di Vico al giurista 'pratico' contemporaneo

Mi scuso se affido alla parola scritta queste brevi riflessioni introduttive. Ma parlare di Vico di fronte a una platea degna di lui –e lo è già per il solo fatto di averlo scelto alle riflessioni di oggi- lo rende necessario; e non perché così mi illuda di non fallire, ma solo per poter fallire meglio, come diceva Samuel Beckett. Ringrazio gli amici dell’associazione dei costituzionalisti per l’onore che mi è stato fatto nel designarmi a presiedere, in una sede così prestigiosa, una sessione del convegno su Giambattista Vico con tanti illustri relatori, che ci intratterranno, nella periodica ricerca che viene fatta intorno alle ‘radici’ del costituzionalismo, su molti dei profili del pensiero, non solo giuridico, del grande filosofo. Debbo immaginare che la scelta, oltre che alla personale amicizia con il presidente Massimo Luciani e con molti altri studiosi presenti, sia dovuta non certo alla mia modesta persona di pratico del diritto, che talvolta ha osato tralignare nel campo della teoria, quanto piuttosto al fatto di essere presidente onorario della fondazione Vico con sede a Vatolla, ma che ha diramazioni visibili sia qui a Napoli sia a Roma, dove il filosofo napoletano ha dimorato per ben nove anni presso il castello della nobile famiglia Rocca, costretto dalle necessità economiche ad accettare l’incarico di istitutore per i quattro figli di Domenico, tra cui Giulia di cui forse era inconfessabilmente innamorato.  Nella biblioteca del marchese Rocca e in quella del convento di Vatolla, che attende di essere recuperata, trovò molte indicazioni per la costruzione della ‘Scienza nuova’. Anzi il soggiorno a Vatolla fu uno dei momenti di maggior rilievo per la formazione dello spirito di Vico. Forse non si trattò di nove anni pieni, dati i frequenti ritorni nella città natale. Tuttavia gli anni trascorsi a Vatolla rappresentarono l’occasione perfetta per identificare e perfezionare i suoi studi, godendo di tranquillità al riparo dal frastuono estraniante della sua città, che pure era una delle capitali culturali europee. In questo luogo perfezionò i suoi studi giuridici, in particolare la grazia nel diritto canonico, avvicinandosi a quelle posizioni agostiniane cui restò sempre fedele. Ivi si mise a studiare approfonditamente il latino, l’unica lingua, insieme all’italiano, di cui avesse sicura padronanza. Studiò Cicerone, Virgilio, Orazio e i poeti del ‘300 italiano. Ebbe scarsa conoscenza della lingua greca anche se l’intero libro terzo della ‘Scienza nuova’ è stato dedicato a Omero. Sempre a Vatolla Vico ebbe una sorta di folgorazione quando incontrò Platone, che, assieme agli amati Bacone e Tacito, ha costituito il fulcro del suo pensiero. Ora, Vatolla, rimasta, come allora, “bellissimo sito e di perfettissima aria”, è diventata un piccolo laboratorio culturale e in oltre vent’anni di attività ha cercato di mantenere sveglia la riflessione sul nostro ’esserci’ nel mondo; e in particolare <>. Quelle comunità dove si svolge la storia della vita individuale e collettiva di ciascuno di noi. In fondo la vita non è che l’esperienza che si è fatta con le persone che si sono conosciute; e si conoscono le persone che vivono negli stessi ambiti familiari e sociali, nonostante l’illusione della globalità di INTERNET. Sarebbe il caso di indugiare sulla vita di Vico, in quanto da essa si può trarre il primo insegnamento, ossia di come, in epoca in cui la cultura era appannaggio delle classi nobili, egli, poverissimo, sia riuscito a riscattarsi -anche se mai completamente, se si pensa al mancato riconoscimento della dignità accademica da lui sperata e all’isolamento culturale che ebbe in vita-  attraverso lo studio e il quotidiano impegno nella ricerca filologica. Non accettò mai l’idea di fare l’avvocato in un foro dominato dal formalismo causidico e sterile. Era attratto dallo studio del diritto quale fattore aggregante dei popoli e delle nazioni, e in particolare da diritto comune delle genti… (segue)



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