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NUMERO 19 - 10/10/2018

 Contrassegni politico-elettorali, simboli fascisti e XII disposizione transitoria e finale della Costituzione

La riflessione proposta in queste brevi note trae origine dalla vicenda della lista «Fasci Italiani del Lavoro», prima ammessa alle consultazioni dell’11 giugno 2017 per l’elezione del Sindaco e del Consiglio comunale del piccolo comune del mantovano di Sermide e Felonica e successivamente esclusa a seguito dell’intervento di Tar e Consiglio di Stato. Ed invero, sebbene tale lista avesse già partecipato, quasi del tutto indisturbata, a ben tre tornate precedenti (nel 2002, 2007 e 2012), la sua ammissione alle elezioni del 2017, ma, probabilmente, soprattutto il conseguimento, per la prima volta, in tale occasione, di un seggio, ha scatenato numerose aspre polemiche, incentrate fondamentalmente sul contrassegno utilizzato per identificare il movimento. Questa la descrizione dell’emblema depositato: «Cerchio a sfondo bianco con all’interno ruota dentata di colore rame sovrapposta da un fascio repubblicano rosso, nella parte inferiore e centrale della circonferenza interna vi è posto il tricolore italiano e la scritta che va da sinistra a destra “FASCI ITALIANI DEL LAVORO”».  Il richiamo a termini ed immagini evocativi del partito fascista ha, così, fatto invocare il possibile contrasto con la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che, come è noto, al primo comma, vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, nonché con le norme legislative di attuazione, con particolare riferimento alla c.d. Legge Scelba (legge 20 giugno 1952, n.645). L’acceso dibattito che si è aperto, alimentato dall’attenzione prestata dai media nazionali alla vicenda, ha portato a numerose interrogazioni parlamentari, vedendo impegnate in prima linea anche alte cariche dello Stato, ed ha condotto, da un lato, alla revoca, da parte del Prefetto, dei membri della settima sottocommissione elettorale circondariale di Mantova che aveva ammesso la lista in discorso, dall’altro, all’avvio di indagini da parte della Procura di Mantova, concluse, a febbraio 2018, con il rinvio a giudizio dei fondatori del movimento con l’accusa di ricostituzione del disciolto partito fascista. In attesa di conoscere le decisioni dei giudici penali in ordine alla presunta configurazione del reato de quo, in questa sede si intende approfondire la questione relativa alla partecipazione della lista «Fasci Italiani del Lavoro» dalle elezioni comunali di Sermide e Felonica del 2017, prima consentita dalla commissione elettorale, poi negata dai giudici amministrativi che, sia in prime che in seconde cure, hanno deciso per l’esclusione ex post della lista medesima. Entrambi i giudici, di primo e secondo grado - pur in assenza, come si vedrà, di una norma primaria ad hoc che vieti l’uso di simboli fascisti nei contrassegni elettorali - hanno ritenuto che il richiamo esplicito, fin dal nome prescelto e dal simbolo usato, all’ideologia fascista da parte della lista «Fasci italiani del Lavoro», imponesse, come consequenziale, l’inammissibilità della sua partecipazione ad una competizione elettorale, essendo stato il partito fascista “bandito irrevocabilmente dalla Costituzione, con norma tanto più grave e severa, in quanto eccezionalmente derogatoria al principio supremo della pluralità, libertà e parità delle tendenze politiche” (citazione tratta dal parere n. 173/94 reso da Consiglio di Stato, sez. I, 23 febbraio 1994, di cui si dirà oltre). Si legge nella sentenza del Consiglio di Stato, n.3208/2018: “l’utilizzo della parola ‘Fasci’ nel nome della lista, l’immagine del fascio repubblicano nel simbolo e il richiamo ad evidenti contenuti dell’ideologia fascista nello Statuto del movimento, a cominciare dalla c.d. democrazia corporativa per finire con il «progetto di Rivoluzione Sociale e riforma dello Stato avviato dal fascismo» di cui pure si legge nello Statuto, sono tutti elementi che impongono l’incondizionata, legittima, e incontestabile esclusione dalla competizione elettorale del movimento, che in modo evidente, inequivocabile, si è richiamato e ispirato a principî del disciolto partito fascista, incorrendo nel divieto di riorganizzare, sotto qualsiasi forma, tale partito, di cui alla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione e di cui all’art. 1 della l. n. 654 del 1952”. I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto, pertanto, irrilevante l’argomento speso dalla difesa della lista in giudizio, secondo cui il movimento non si proponeva esplicitamente il sovvertimento dell’ordine democratico, la soppressione delle libertà costituzionali, l’utilizzo della violenza come metodo di lotta politica, il dileggio dei valori fondanti della Costituzione e della Resistenza (secondo quanto previsto dall’art.1 della citata legge Scelba che ha dato attuazione alla disposizione costituzionale de qua), poiché, “un movimento politico che si ispiri ai principî del disciolto partito fascista deve essere incondizionatamente bandito dalla competizione elettorale, secondo quanto impone la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, il cui precetto, sul piano letterale e teleologico, non può essere applicato solo alla repressione di condotte finalizzate alla ricostituzione di una associazione vietata, (..), ma deve essere esteso ad ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito fascista, per sua essenza stessa antidemocratico, e quindi anche al riferimento inequivoco ai suoi principî fondanti, ai sensi dell’art. 1 della l. n. 645 del 1952. Di qui, dunque, secondo il Consiglio di Stato, la correttezza della sentenza resa dal giudice di primo grado, “che ha doverosamente escluso la lista dalla competizione elettorale per il suo espresso e continuo riallacciarsi all’ideologia e al programma del disciolto partito fascista (dalla sua fondazione sino alla “svolta” repubblicana del 1943)”, restando per il resto del tutto ininfluente l’ulteriore argomento speso dalla difesa del movimento, cioè che esso nel proprio programma perseguisse l’obiettivo di risolvere problemi di interesse locale per un maggior benessere della collettività amministrata. Ebbene, tali pronunce, rese, è bene ribadirlo, in assenza di norme primarie che vietino simboli fascisti nei contrassegni elettorali, ricostruendo il divieto de quo partendo dalla XII disp. trans. e finale della Costituzione, offre l’occasione per riflettere sul significato della norma costituzionale che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista, a margine della perdurante e stigmatizzabile laconicità del quadro normativo di riferimento di una materia estremamente delicata, come quella dei contrassegni politico-elettorali… (segue)



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