
La nuova cornice normativa degli enti del terzo settore (di seguito, ETS), delineata dalla legge delega n. 106/2016 e dai suoi decreti attuativi (in particolare, i d.lgs. nn. 112 e 117 del 2017, e s.m.i.), si rivolge a un’ampia platea di soggetti giuridici privati, nominati e non: le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso; ma anche le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituite per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Questi enti, pur mantenendo alcune specificità di disciplina, costituiscono – nelle intenzioni del legislatore – una categoria unitaria, assoggettata a regole condivise e destinataria – a fronte dell’assunzione di determinati obblighi formali - di specifici vantaggi; con tratti comuni che investono anche le regole giuridiche applicabili ai rapporti lavorativi instaurati all’interno di tali enti. All’analisi di queste regole è rivolto il presente contributo. Esse impattano all’interno di un composito quadro giuslavoristico, caratterizzato da elevati profili di specificità della disciplina applicabile alle diverse realtà di settore, la cui frammentarietà solo in parte risulta superata. Ed invero, già da un punto di vista sistematico, (anche) la disciplina lavoristica degli ETS risulta oggi “tripartita” all’interno di diverse fonti legislative: il d.lgs. n. 117/2017 (c.d. Codice del Terzo settore, di seguito CTS), nel quale si rinvengono norme generali, applicabili a tutti gli enti del settore, e discipline particolari per alcune figure soggettive (quali le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, la cui previgente disciplina viene abrogata); il d.lgs. n. 112/2017, che disciplina ex novo le imprese sociali; e la l. n. 381/1991, che continua a disciplinare le cooperative sociali. Il sistema delle fonti regolatorie è completato da una norma di chiusura, contenuta nell’art. 3 del CTS, ove si prevede l'applicazione delle disposizioni codicistiche, “ove non derogate ed in quanto compatibili”, anche alle categorie di enti che godono di una disciplina particolare (si pensi, soprattutto, alle cooperative sociali), Già da questo essenziale inquadramento emerge con chiarezza non solo l’assenza di una regolamentazione organica e unitaria, ma anche una certa incertezza del contesto normativo di riferimento. Ed infatti, se è indubbio che il CTS, stabilendo le disposizioni generali e comuni applicabili agli ETS, “assurge a rango di fonte principale del diritto degli enti del terzo settore globalmente considerato”, ciò vale nel rispetto del principio di specialità. Di modo che, non di rado, si rinviene la presenza di diverse discipline, applicabili al medesimo istituto; il che richiede, di volta in volta, il loro puntuale coordinamento… (segue)
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