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NUMERO 22 - 21/11/2018

 I giudici amministrativi valorizzano il diritto alla sicurezza giuridica

Consiglio giustizia amministrativa Regione Sicilia, sez. giur., ord. n. 718/2018 concernente la non ammissione alla prova orale dell'esame di abilitazione alla professione di avvocato;

Tar Lazio, sez. III-ter, ord. n. 11124/2018 rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea avente ad oggetto l'art. 26 d.l. 91/2014.

Le pronunce sopra riportate pongono significativamente e apprezzabilmente l'accento sui principi di sicurezza giuridica e di tutela del legittimo affidamento, meritando particolare segnalazione in vista della imminente presentazione degli atti delle Giornate di studio sulla giustizia amministrativa 2018, specificamente dedicate al tema dei rapporti tra “principio di ragionevolezza nelle decisioni giurisdizionali e diritto lla sicurezza giuridica” (atti già in buona parte ospitati in questa Rivista). Proseguendo, in questa prospettiva, il percorso di analisi critica avviato in questi ultimi anni sulla coerenza di alcuni sviluppi giurisprudenziali con i limiti derivanti dal primato costituzionale della legge, si riscontra invero positivamente che le pronunce più recenti sembrano testimoniare una maggiore sensibilità verso tali limiti, attraverso l’espresso richiamo al principio della sicurezza giuridica e alla imprescindibile esigenza di garantire agli amministrati la certezza delle regole dell’azione amministrativa e delle conseguenze giuridiche dei propri comportamenti. Se ne rinvengono significativi esempi nelle sentenze rese dall’Adunanza Plenaria con riferimento a due importanti questioni processuali: il termine di impugnazione del bando di gara e i limiti della possibilità di rinvio al primo giudice in caso di riforma della relativa sentenza. Sul primo profilo, la sentenza n. 4 del 2018, facendo corretta applicazione del vincolo di osservanza della legge, ha escluso la possibilità di trarre dai nuovi oneri di immediata impugnazione delle altrui ammissioni introdotti dal Codice dei contratti pubblici un principio generale di anticipazione del dies a quo per tutti gli atti di gara antecedenti alla fase di valutazione delle offerte. Sulla questione dell’annullamento con rinvio, lasciando qui da parte la valutazione della coerenza della scelta legislativa di non includere tra le ipotesi di rinvio l’omessa pronuncia su una delle domande (sulla quale ho già espresso in altra sede le mie perplessità), appaiono sicuramente apprezzabili i passaggi in cui il supremo consesso della giustizia amministrativa (nelle sentenze nn. 10,11, 14 e 15), dopo aver sottolineato il carattere tassativo delle ipotesi di rinvio al primo giudizio,  definite dall’art. 105 c.p.a. con formule “chiuse” e “determinate”, afferma che “Affidare l’individuazione di una regola di procedura a clausole “aperte” o “indeterminate” sarebbe, del resto, un’operazione difficilmente compatibile con l’esigenza di certezza e di prevedibilità che, specie in materia processuale, deve essere assicurata al più alto livello possibile” e pone correttamente l’accento sulla necessità di valorizzare, oltre alla volontà “positiva” espressa dal legislatore, anche la volontà “negativa” rinvenibile nella formula dispositiva: nella specie, l’espressa inclusione delle ipotesi di estinzione e perenzione tra quelle implicanti il rinvio è stata individuata come dimostrazione della scelta di escluderne tutte le ipotesi di erronea chiusura in rito del processo (irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità) diverse rispetto alle due espressamente tipizzate. Le medesime pronunce hanno altresì il merito di stigmatizzare la motivazione “meramente apparente (ovvero “tautologica o assertiva, espressa attraverso mere formule di stile”), che integra piuttosto un caso di nullità (costituzionalmente rilevante) della pronuncia”, e che “non è sindacabile dal giudice [di appello: ndr], in quanto essa costituisce un atto d’imperio immotivato, e dunque non è nemmeno integrabile, se non con il riferimento alle più varie, ipotetiche congetture” e quello di sottolineare che “una sentenza “congetturale” è, per definizione, una non-decisione giurisdizionale – o, se si preferisce e all’estremo opposto, un atto di puro arbitrio – e, quindi, un atto di abdicazione alla potestas iudicandi”, “dando luogo ad una sentenza abnorme ancor prima che nulla”. Non si può poi non esprimere il massimo apprezzamento per la sentenza n. 5337 del 12 settembre 2018, in cui la V Sezione, con riferimento alle già più volte criticate tesi estensive del potere di esclusione dalle pubbliche gare per violazione degli obblighi dichiarativi, previsto dall’art. 80, comma 5, del nuovo Codice dei contratti pubblici, ha giustamente rimarcato l’esigenza di una previa e chiara individuazione della condotta che si assume violata, stigmatizzando la “inaccettabile incertezza e imprevedibilità del diritto, fonte di potenziale aporia di sistema e di danno all’economia di settore”. L’attenzione per la sicurezza giuridica e la tutela dei diritti (del legittimo affidamento e dell’effettività della tutela) dei potenziali destinatari dei provvedimenti sanzionatorio è massima anche nelle sentenze (nn. 4657 e 5695 del 2018) con cui la V Sezione del Consiglio di Stato, pur rammentando la regola generale che il carattere della perentorietà può essere attribuito a una scadenza temporale solo da una espressa norma di legge (“difatti, nello Stato di diritto, solo la legge può collegare in via generale al decorso del tempo il mutamento di una situazione giuridica, sia esso un potere dell’amministrazione (perenzione), sia esso un diritto o una facoltà del privato (decadenza)”), ha nondimeno affermato (con un’interpretazione in bonam partem per gli amministrati) la perentorietà del termine di conclusione del procedimento sanzionatorio previsto dal Regolamento ANAC, opportunamente sottolineando, in aggiunta, che il principio di certezza della sanzione e di affidamento si presenta particolarmente significativo quando la dedotta violazione non comporta soltanto l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, ma, a determinate condizioni, anche l’adozione di rigorose misure interdittive (a carattere preventivo, settoriale e generale de futuro: Cons. Stato,V, 23 luglio 2018, n. 4427) che impediscono di competere efficacemente nel settore economico di appartenenza. E ancora, con riferimento alle indicazioni dell’Autorità di vigilanza (prima l’AVCP, ora l’ANAC) sugli adempimenti informativi delle SOA, la IV Sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza 12 ottobre 2018, n. 5883, ha rimarcato che, “in rispetto del rammentato principio di legalità in materia sanzionatoria e di ragioni generali di sicurezza giuridica, occorre che siffatte indicazioni non tengano luogo di fattispecie illecite per legge inesistenti e che specifichino con chiarezza e precisione la condotta che si arriva dover presumere contra-legem”. In questa linea si inseriscono, significativamente, le recentissime ordinanze n. 717 e 718  del 14 novembre scorso, con cui il CGARS, nel riportare all’Adunanza Plenaria la questione delle regole applicabili alla composizione delle commissioni degli esami di avvocato, ha nettamente sottolineato i “doveri di chiarezza e clare loqui del legislatore e il doveroso principio di prevedibilità degli effetti della legge e della giurisprudenza che costituiscono corollario dello Stato di diritto e dei valori costituzionali di tutela dell’affidamento dei cittadini e dell’effettività della tutela giurisdizionale”. E ancora, da ultima, ma non ultima, l’ordinanza 16 novembre 2018, n. 11124, con cui il TAR Lazio, Roma, Sez. III ter, muovendo dal medesimo richiamo ai principi generali di certezza del diritto e tutela del legittimo affidamento e dalle garanzie  di stabilità e certezza delle misure di sostegno degli investimenti nelle energie rinnovabili, a fronte del rigetto da parte della Corte costituzionale delle eccezioni di l.c. dell’art. 26 d.l. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, nella l.11 agosto 2014, n. 116 (cd “spalmaincentivi”), che, al dichiarato fine “di ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi e favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili”, ha introdotto un regime peggiorativo delle modalità di erogazione delle tariffe incentivanti dell’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici, già riconosciute in base all’art. 7 del dlgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (C. cost., n. 16 del 2017), ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione se la riferita novella del 2014, “che riduce ovvero ritarda in modo significativo la corresponsione degli incentivi già concessi per legge e definiti in base ad apposite convenzioni sottoscritte dai produttori di energia elettrica da conversione fotovoltaica con il Gestore dei Servizi Energetici S.p.A., società pubblica a tal funzione preposta (...) sia compatibile con i principi generali del diritto dell’Unione europea di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di leale collaborazione ed effetto utile; con gli artt. 16, 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; con la direttiva n. 2009/28/CE e con la disciplina dei regimi di sostegno ivi prevista; con l’art. 216, par. 2, TFUE, in particolare in rapporto al Trattato sulla Carta europea dell’energia”. Se alcune tendenze giurisprudenziali verso interpretazioni “creative”, spesso a sfavore degli amministrati, avevano indotto ad esprimere serie preoccupazioni per la salvaguardia del ruolo del giudice amministrativo, deputato ad assicurare a un tempo l’effettiva della tutela “nei confronti della pubblica amministrazione” e “la giustizia nell’amministrazione”, condizioni imprescindibili per la garanzia della “buona amministrazione”, le pronunce sopra richiamate inducono a una maggiore fiducia verso una riacquistata consapevolezza di tale ruolo e della forza che ne deriva, spingendo ad auspicare che i giudici proseguano e sviluppino tale percorso.



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