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FOCUS - Osservatorio Città metropolitane N. 1 - 28/11/2018

 I referendum consultivi comunali nell'ambito dell'ampliamento delle forme di partecipazione diretta dei cittadini

A distanza di ventuno anni dall’ultima occasione, gli elettori romani sono stati chiamati ad esprimersi attraverso referendum comunali consultivi previsti dall’art. 10 dello Statuto di Roma Capitale. L’ultima volta, infatti, era accaduto nel 1997 con riguardo a due quesiti relativi alle società Acea e Centrale del Latte. In tutti e due i casi, con una percentuale di circa il 37% dei partecipanti, gli elettori si espressero in strettissima misura a favore della privatizzazione. Nel caso dei referendum dell’11 novembre scorso si trattava di due quesiti consultivi relativi al trasporto pubblico locale e, in particolare, si chiedeva un doppio voto riguardo alla eventualità di affidare il servizio attraverso procedure aperte alla concorrenza tra gli operatori. Va subito detto che, nonostante la dimensione comunale del voto, le tematiche trattate hanno sicuramente una dimensione metropolitana nella misura in cui, come noto, la legge n. 156 del 2014 individua tra le funzioni fondamentali delle Città metropolitane proprio la costruzione dei servizi pubblici a rete. In ogni caso, l’iniziativa, promossa in particolare dalle associazioni radicali, ha preso piede in ambito comunale, anche alla luce del fatto che il Comune di Roma ospita la gran parte dei cittadini dell’area vasta (2,7 milioni su 4,3 milioni circa) e il servizio pubblico locale garantito dal Comune rappresenta di gran lunga magna pars del sistema metropolitano. Inizialmente i referendum si sarebbero dovuti tenere nel giugno 2018 ma con Ordinanza del Sindaco sono stati indetti per il novembre dello stesso anno anche alla luce della modifica dei quesiti a seguito delle osservazioni della Commissione per i referendum istituita dal Comune e composto da professori ordinari in materie giuridiche che, in particolare, avevano osservato – in sede di giudizio di ammissibilità dei referendum – l’opportunità di alcune correzioni ai quesiti proposti. Lo Statuto di Roma Capitale, infatti, prevede la possibilità che i cittadini possano pronunciarsi attraverso referendum (anche) consultivi a seguito di presentazione del quesito da parte degli elettori, nel limite di una serie di vincoli procedurali e sostanziali. La richiesta di referendum era iniziata con la raccolta delle sottoscrizioni (“raccolte nei tre mesi precedenti al deposito, non inferiore all’uno per cento di quello della popolazione residente accertata nell’anno precedente al deposito medesimo” come previsto dallo Statuto comunale adottato nel 2013) per poi proseguire con il giudizio di ammissibilità di un organo interno del Comune di Roma ossia la già citata Commissione per i referendum. La consultazione dell’11 novembre, tenutasi nella sola giornata dalle ore 8 alle ore 20, ha visto una ridotta partecipazione degli aventi diritto al voto. La media, sul territorio comunale, è stata del 16%: ovverosia in meno di 400.000 cittadini si sono recati alle urne contro i 2,3 milioni titolari del diritto di esprimersi. Il dato, se analizzato su base territoriale, è molto articolato: si passa da una affluenza molto più elevata in territori centrali come Municipi 1 e 2 (rispettivamente oltre il 20% e oltre il 25%) fino ai minimi dei Municipi più periferici come il Municipio 6 (nel territorio delle Torri ha votato solamente il 9%) e quello di Ostia (nel Municipio 10 vi è stato il 14% di affluenza)… (segue)



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