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NUMERO 23 - 05/12/2018

 I partiti politici in Italia

La visione strettamente connessa alla definizione dei partiti politici è quella per cui gli stessi sono da considerarsi come libere associazioni di cittadini, che decidono di aggregarsi per partecipare alla determinazione della politica nazionale. La loro funzione è quella di svolgere il ruolo di anello di congiunzione tra le Istituzioni e i cittadini, tra lo Stato apparato e lo Stato comunità. In ragione di ciò, è unanimemente riconosciuta la loro natura anfibia. Il riconoscimento di cui beneficiano i partiti nel caso italiano assume una duplice valenza, sia di natura esplicita, sia implicita. Innanzitutto, gli stessi hanno ottenuto tutela costituzionale per il tramite di una specifica disposizione, qual è l’art. 49., da cui emerge la complessità della loro configurazione, che gli consente non solo di vivere contemporaneamente nel mondo della società e in quello delle Istituzioni, ma di emergere come veri domini rispetto alla debolezza del contesto. (v. infra II. A.1). La Costituzione italiana è stata una delle prime a dedicare una specifica disposizione riguardante i partiti politici, ma a tale formulazione non si è giunti facilmente. Il dibattito in Assemblea Costituente è stato molto acceso, tanto che, nella sua formulazione definitiva, l’art. 49 non fa riferimento alcuno alla struttura, alla democraticità interna dei partiti e al riconoscimento di attribuzioni di rilievo costituzionale. Probabilmente, la scelta di una disposizione così sfuggente trova ragion d’essere nella volontà dei Costituenti di voler mutuare due diverse ispirazioni: da una parte il rifiuto della dimensione istituzionale dei partiti, dall’altra il riconoscimento della funzione fondamentale svolta dagli stessi(Elia, 2009). In estrema sintesi, quindi, è possibile notare come i Padri Costituenti, per il tramite dell’art. 49, abbiano disciplinato il fenomeno partitico in linea generale, senza però focalizzarsi su ogni singolo aspetto. Dell’art. 49 l’elemento sintattico di estrema rilevanza, oltre a “cittadini” (punto focale del ragionamento), è il “metodo democratico”, con cui deve intendersi il rapporto che sussiste tra queste specifiche tipologie di associazioni non riconosciute. Ciò significa che tale metodo assume valenza solamente dal punto di vista relazionale, senza alcun riferimento alla strutturazione interna, benché ai militanti debbano essere assicurate garanzie minime di partecipazione e coinvolgimento attivo come nei casi di selezione classe dirigente, elaborazione delle politiche endogene, proprio per realizzare l’inclusione politica e consentire lo sviluppo della personalità sia nella dimensione individuale, sia collettiva. Quanto detto è pienamente coerente con quanto dispone l’articolo 2 Cost. – ulteriore norma di collegamento – posto proprio a riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, dal momento che il partito è riconducibile ad una di queste categorie. Il contesto contingente in cui la Carta è stata elaborata ha riverberato i propri effetti sull’art. 49 Cost., che è rimasto sostanzialmente una pagina bianca nella sua attuazione, anche e soprattutto rispetto al fine democratico la cui determinazione metodologica è stata riservata alle articolazioni interne delle formazioni partitiche. Sebbene in sede di dibattito costituente il tema dei partiti si sia dunque intrecciato con quello della loro regolamentazione da parte del legislatore ordinario, a causa della diffidenza reciproca tra le forze politiche si è deciso di limitare le basi giuridiche alle disposizioni costituzionali sopra citate e a poche altre norme contenute in leggi ordinarie relative a specifici ambiti, quali quelli della legislazione elettorale in senso stretto e quella di contorno. Sarà pertanto necessario, ammesso che sia sufficiente, attendere gli esiti della transizione del sistema dei partiti per poter regolarizzare il fenomeno partito anche nei suoi aspetti interni e implementare il processo di democratizzazione (es. regolazione del meccanismo delle primarie). Emerge pertanto una contraddizione di fondo, che va letta e compresa in considerazione del periodo storico in cui l’articolo è stato formulato, ma altresì l’esistenza di una sorta di tutela per quanto riguarda eventuali forme di controllo operate da soggetti terzi. Di fatto, però, il riconoscimento dei partiti non si esaurisce esclusivamente nell’articolo 49, ma la sua portata effettiva necessita di una lettura sistematica rispetto ad altre norme costituzionali, dal momento che si inserisce in un “sistema costituzionale di libertà associative” (Barile, 1958). In particolare l’analisi non può prescindere dal porre l’attenzione sul soggetto titolare, ossia i cittadini, giacché la possibilità di associarsi in partiti non è altro che un’estrinsecazione del predetto diritto di libertà. Pertanto, un altro collegamento è con l’art. 18 Cost., che offre copertura costituzionale al diritto di associazione inteso in senso generale. Infatti, da un punto di vista prettamente giuridico i partiti sono associazioni non riconosciute di natura privatistica che svolgono una funzione pubblicistica in totale autonomia organizzativa. L’orientamento dottrinario italiano prevalente ritiene che la lettura offerta alle due disposizioni costituzionali debba essere fatta in senso integrativo. Difatti, la loro compresenza non è da intendersi né ripetitiva né conflittuale, giacché proprio l’art. 18 Cost., in ragione della sua posizione logico-sistematica, sia “in qualche modo preliminare e forse prioritaria”(Pasquino, 1992), nonché adeguata ad ogni tipologia di associazione, stante però il limite posto nei confronti del legislatore ordinario per l'introduzione di eventuali deroghe a tale disciplina per le formazioni partitiche, di cui si parlerà più avanti. Il partito è poi citato espressamente in altre norme costituzionali, seppur di carattere specifico. Se l’articolo 98 co. 3 prevede la possibilità di stabilire con legge limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per alcune elencate categorie di pubblici funzionari; la XII delle Disposizioni transitorie e finali vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista (si v. infra II. B.2)… (segue)



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