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NUMERO 4 - 20/02/2019

 Identità nazionale e controlimiti: l'inapplicabilità della ''regola Taricco'' nell'ordinamento italiano

Il contributo si propone di analizzare la vicenda Taricco e la reazione della nostra Corte Costituzionale alla oramai celebre sentenza resa dalla Corte di giustizia l’8 settembre 2015 (causa C-105/14), con particolare attenzione al rilievo riconosciuto (talora in modo espresso, talora solo implicitamente), nell’intera saga, all’art. 4, par. 2, TUE. Dopo alcune considerazioni preliminari su questa disposizione, anche alla luce della rilevante giurisprudenza, l’indagine si soffermerà, dapprima, sull’impiego di tale clausola identitaria da parte della Consulta nell’ordinanza n. 24/2017, e, successivamente, sulla scelta dei giudici di Lussemburgo nella causa M.A.S. e M.B. (C-42/17) di evitare il conflitto con il giudice delle leggi italiano senza operare un revirement della regola affermata nel proprio precedente e senza ricorrere all’art. 4, par. 2, TUE. Verranno poi presi in esame i passaggi rilevanti della sentenza n. 115/2018, con cui la Corte costituzionale ha de facto attivato i controlimiti per concludere con alcune riflessioni più generali sull’opportunità di sfruttare al meglio le potenzialità ireniche della clausola identitaria. Come si avrà modo di vedere, pur mancando un espresso riferimento all’identità nazionale e/o costituzionale, gli argomenti utilizzati dalla Consulta per impedire l’ingresso della cosiddetta regola Taricco nell’ordinamento italiano ben avrebbero potuto venire in rilievo ai sensi dell’art. 4, par. 2, TUE. In questo senso la sentenza n. 115/2018 contribuisce (almeno in potenza) a definire, nella prospettiva della Corte di giustizia, i contorni dell’identità nazionale. Se valutata insieme all’altrettanto celebre obiter dictum della sentenza n. 269/2017, la pronuncia completa l’opera di ‘cristallizzazione’ del precedente Granital. In un contesto assai mutato rispetto a quello in cui si sono definiti e consolidati i rapporti tra ordinamenti, nazionale e sovranazionale (Cortese 2018, 164), la Corte costituzionale ha deciso di riaffermare con forza (ancorché in modo discutibile) le proprie prerogative, sia in relazione allo standard di tutela dei diritti fondamentali, sia rispetto ai principi supremi dell’ordinamento italiano. Naturalmente, il diritto dell’Unione europea non ammette i controlimiti. Essi, nell’ottica della leale cooperazione, non possono che intervenire ex post, come extema ratio, e restano pertanto una opzione nucleare da evitare a tutti i costi [Rossi 2018a, 11]. L’art. 4, par. 2, TUE, dunque non può essere interpretato come una loro interiorizzazione da parte dell’ordinamento dell’Unione. La funzione della norma, di contro, è quella di evitare i conflitti inter-ordinamentali e agevolarne la soluzione senza rinunciare all’effettività del diritto dell’Unione, ma sempre nel rispetto della componente internazionalistica di quest’ultimo, che non può non trovare fondamento e legittimazione nelle costituzioni degli Stati membri. Ciò detto, prima di addentrarci nella disamina delle vicende giudiziarie in oggetto, conviene svolgere alcune considerazioni di ordine generale in merito alla natura e alla portata della clausola identitaria di cui all’art. 4, par. 2, TUE, al suo impiego da parte della Corte di giustizia, così come all’opportunità di distinguere le situazioni coperte da tale previsione tanto da quelle riguardanti l’identità costituzionale degli Stati membri, quanto da quelle attinenti alla violazione del livello nazionale di tutela dei diritti fondamentali… (segue)



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