
Osservando una mappa politica del mondo, risalta che tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite (attualmente in numero di 193), dispongono di una qualche forma di ‘assemblea legislativa’, che, al di là della denominazione ufficiale, è genericamente considerata un ‘parlamento’. Questa cifra (e questa qualificazione) sono date per assodate dalla dottrina, che si basa sovente sui dati forniti dall’Unione interparlamentare, un’organizzazione internazionale sorta già nel 1889, con sede a Ginevra, che oggi riunisce 178 parlamenti. La descrizione fornita dall’Unione interparlamentare suona assai ottimistica: «We currently have 178 Member Parliaments and are working for universal membership. Our Members range from huge nations like China, India and Indonesia, to the tiny States of Cabo Verde, San Marino and Palau. More than 6.5 billion of the world’s 7 billion people live in countries whose parliaments are our Members». Questi numeri, che danno conto di una diffusione pressoché globale, sembrano spingere a ritenere il parlamento una istituzione ‘universale’. Il parallelismo con l’universalismo dei diritti umani sorge immediato: d’altra parte, il parlamento è considerato, nei documenti delle organizzazioni internazionali, dalle Nazioni Unite fino all’Unione europea, come l’istituzione più idonea a promuovere la good governance, nonché a prevenire i conflitti, le violazioni dei diritti umani e della rule of law. Almeno due rilievi inducono però a una riflessione più approfondita… (segue)
Il ri-accentramento nell'epoca della ri-centralizzazione. Recenti tendenze dei rapporti tra Corte costituzionale e giudici comuni
Tania Groppi (27/01/2021)
'La Costituzione si è mossa': la precettività dei principi costituzionali sulla parità di genere e l’utilizzo del potere sostitutivo del governo nei confronti della Regione Puglia
Tania Groppi (07/09/2020)