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A seguito di una vicenda di cronaca verificatasi nei primi giorni del 2018, chi scrive ha già avuto occasione, in un precedente articolo, di affrontare in termini generali la problematica dell’utilizzo del velo islamico (hijab) nelle aule di giustizia, con particolare riferimento alle aule di giustizia amministrativa che hanno occasionato la vicenda concreta che ha interessato la cronaca. Ne è risultato un quadro abbastanza diversificato tra due diversi “poli”, caratterizzati da soluzioni normative effettivamente divergenti. Il primo “polo” normativo è costituito dai sistemi processuali decisamente adeguati alle esigenze di una società multiculturale e che non recano sicuramente più previsioni relative all’obbligo di assistere alle udienze a capo scoperto che possano risultare (indirettamente) impeditive dell’uso del velo in udienza; è il caso, sicuramente, del codice di procedura penale (art. 471 c.p.p.; art. 147 disp. att. c.p.p.) e del codice del processo amministrativo (art. 12 disp. att. del nuovo codice del processo amministrativo approvato con il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) che non recano più previsioni che possano costituire ostacolo al porto del velo in udienza. Con riferimento a questi processi, la problematica più importante (o meglio, unica) sembra essere costituita dall’ammissibilità di quelle forme di velo che praticamente rendono impossibile l’identificazione della persona; evidente è il riferimento a «due …indumenti che vengono in rilievo: il burqa, diffuso in Afghanistan e nel Pakistan nord-occidentale (a seguito, soprattutto, dell’imposizione durante il regime dei Talebani), ed il niqab, il velo nero che copre capo e volto, con l’eccezione degli occhi, indossato, di solito insieme con l’abaya (il vestito che copre dalla testa ai piedi), soprattutto nella penisola arabica»; in questo caso, «la circostanza che il volto venga integralmente o quasi integralmente coperto rende, tanto il burqa quanto il niqab, simboli religiosi ai quali non possono estendersi sic et simpliciter le soluzioni sin qui elaborate» con riferimento ad altre tipologie di velo che, al contrario, permettono agevolmente il riconoscimento della persona, dovendo aggiuntivamente attribuirsi rilevanza anche al bilanciamento tra «la libertà personale e … religiosa, …..(e) la tutela dell’ordine pubblico, che da elemento accessorio assurge, probabilmente, a principale argine alla libertà individuale, quanto meno assumendo che l’ordine pubblico richieda la riconoscibilità di una persona»… (segue)
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