Uno spettro si aggira per l’Europa. È lo spettro del taglio dei parlamenti. A parte l’aspetto più macabro che divertente dell’immagine, di riduzione delle dimensioni del Legislativo si discute da tempo in vari Paesi. Da noi, in particolare il decennio dalla pubblicazione del libro di Stella e Rizzo ha visto scorrere sugli schermi posizioni di forze politiche e anche di governi riduzioniste dei privilegi e delle dimensioni dei parlamenti, principalmente sull’onda, più emotiva che sostanziosa, della battaglia a tutto campo appunto contro la “casta”, mentre in dottrina le posizioni hanno spaziato anche su altri terreni, dall’autorevolezza (o meno) del Parlamento al rafforzamento (o meno) dell’esecutivo, fino a domande esistenziali sul collegamento stesso tra numero dei parlamentari e democrazia, ma con una varietà tale di posizioni contrastanti e contraddittorie, che si può tranquillamente concludere che tra i costituzionalisti non si è coagulata nemmeno una certezza, condivisa e oggettivamente fondata, sul ruolo in diritto costituzionale della dimensione dei Parlamenti, e in specie del nostro. Sono invece — mi pare — pochissimi gli studiosi di discipline giuspubblicistiche che si siano posti, senza trasporti emotivi o ideologici, problemi su che cosa significhi esattamente la dimensione del Parlamento all’interno di un diritto costituzionale che cambia, su quali parametri utilizzare per formulare una analisi, su quale impatto essa abbia su grandezze non tradizionali (ma oggi formalizzate) come la qualità della normazione o la costituzione economica, e su grandezze tradizionalissime, ma stranamente lasciate in un ovattato cono d’ombra nei dibattiti sui numeri, quali la centralità del Parlamento nell’esercizio della sovranità popolare e la sua funzionalità, specie nella selezione e nella capacità decisionale sulle questioni economicamente, socialmente e politicamente più rilevanti. È probabile che oggi sia più facile spostare l’attenzione su quelle grandezze, proprio per la scelta della attuale maggioranza di ‘spacchettare’ le riforme costituzionali che buona parte della dottrina costituzionalistica ha accolto con notevole interesse e favore. Anche se personalmente sono di diverso avviso teorico, il diavolo sta nei dettagli, ed è ovvio che dopo i terremoti si provi a ricominciare, ma con criteri rigorosamente antisismici, tipo appunto, e fuor di metafora, la messa in cantiere di piccole, circoscritte revisioni costituzionali. Qui di seguito, dunque, tenterò di passare al vaglio delle questioni sopra enunciate una di quelle mini-riforme, precisamente la proposta di legge costituzionale C 1585, avente a oggetto “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, già approvata in prima lettura al Senato e mentre scriviamo ‘in lavorazione’ alla Camera dei Deputati. Si tratta di un intervento normativo ‘minimalista’ di taglio e sostituzione di pochi sintagmi degli art. 56 e 57 Cost., che nel nuovo testo dovrebbero avere la seguente formulazione (in corsivo le sostituzioni)… (segue)
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