La Corte costituzionale, con le sentenze nn. 269 del 2017; 20 e 63 del 2019, compie una “svolta” in tema di risoluzione delle antinomie fra diritto interno e diritto dell’Unione europea e, in particolare, dà un’importante “precisazione” in merito alle ipotesi di doppia pregiudizialità, ovvero, per usare le parole della stessa Corte, alle “controversie che possono dare luogo a questioni di illegittimità costituzionale e, simultaneamente, a questioni di compatibilità con il diritto dell’Unione”. Prima della fondamentale specificazione contenuta nel puto 5.2 del Considerato in diritto, la Corte, nella sentenza n. 269 del 2017, tiene a confermare le regole che governano, in generale, i rapporti fra norme interne e norme dell’Unione europea. Si ricorda espressamente come “il contrasto con il diritto dell’Unione europea condiziona l’applicabilità della norma censurata nel giudizio a quo – e di conseguenza la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale che si intendano sollevare sulla medesima (…) – soltanto quando la norma europea è dotata di effetto diretto”. In simili casi, ossia se la disposizione UE è direttamente efficace, “spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della normativa interna censurata (..) e nell’ipotesi di contrasto provvedere egli stesso all’applicazione della norma comunitaria in luogo della norma nazionale”. Solo laddove la norma eurounitaria sia priva di efficacia diretta e non sia possibile superare il contrasto in via interpretativa, “il giudice comune deve sollevare la questione di legittimità costituzionale”. Tanto ribadito, si sente il bisogno di fare una “precisazione” con riguardo alle situazioni di ‘doppia pregiudizialità’. Queste ultime, sino alla svolta enunciata nella sentenza n. 269 del 2017 e poi confermata con le sentenze nn. 20 e 63 del 2019, venivano costantemente decise nel senso della precedenza delle questioni relative al diritto europeo rispetto a quelle di costituzionalità… (segue)
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