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NUMERO 13 - 03/07/2019

 Il ddl costituzionale sull'art. 71: l'irruzione dei promotori e della Corte nella produzione legislativa

Il disegno di legge costituzionale in corso di esame in Parlamento e recante la nuova disciplina su iniziativa legislativa popolare e referendum (AS 1089 e già AC726) pone una molteplicità di profili di analisi la cui attualità si rinnova sia per il fatto che il testo ha avuto la prima approvazione da parte della Camera dei Deputati sia perché parallelamente ad esso sono in corso di esame altre proposte normative (anche costituzionali) connesse (come quella sulla riduzione del numero dei parlamentari); la dottrina già ha esaminato, in sede parlamentare e in sede scientifica, il testo, soffermandosi su di una pluralità di aspetti, segnalando in più occasioni che si tratta di una novella costituzionale non di limitata incidenza ma in grado di impattare sul complessivo sistema istituzionale. In questa sede ci si propone di analizzare – attraverso una serie di riflessioni – in particolare il rapporto che intercorre tra due soggetti istituzionali protagonisti, accanto al Parlamento, delle attività previste, ovverosia i promotori del disegno di legge che innestano il meccanismo propositivo e la Corte costituzionale chiamata a decidere l’“ammissibilità” del relativo referendum. Il progetto di riforma costituzionale infatti prevede che, superate le 200.000 firme raccolte, la Corte costituzionale sia chiamata a giudicare il testo prima della sua formale presentazione in Parlamento. La proposta normativa approvata in prima seduta alla Camera prevede espressamente che “sull’ammissibilità del referendum […] la Corte costituzionale giudica prima della presentazione della proposta di legge alle Camere, purché siano state raccolte almeno duecentomila firme”.  Iniziamo da una prima considerazione di fondo: quello che è formalmente descritto – sulla scia di quanto accade per il referendum abrogativo ex art. 75 Cost. – come un giudizio di ammissibilità in realtà può diventare un vero e proprio giudizio preventivo di legittimità costituzionale. La cosa pareva evidente da una serie di elementi già presenti nel testo posto all’esame dell’Assemblea della Camera dei Deputati: in primo luogo il nuovo comma 4 dell’art. 71 prevedeva che la proposta dovesse “rispettare” previsioni normative sovra-statali e faceva riferimento a “i principi e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, nonché dal diritto europeo e internazionale”; sulla base di quel testo, l’inammissibilità sarebbe derivata poi anche dal caso in cui la proposta presentata fosse intervenuta in settori nei quali l’iniziativa legislativa sia “riservata” (ossia di esclusiva competenza di soggetti individuati dalla Costituzione), allorché “presuppone[sse] intese o accordi”, quando “richiede[sse] una procedura o una maggioranza speciale per la sua approvazione” e se non avesse provveduto una eventuale copertura degli oneri aggiuntivi; infine, già allora non era considerata ammissibile la proposta che non avesse avuto contenuto omogeneo… (segue)



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