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NUMERO 14 - 17/07/2019

 Il rendimento delle formule legislative regionali di riequilibrio della rappresentanza di genere

Il progressivo consolidamento del principio di “pari opportunità di genere” nel panorama politico non può essere analizzato prescindendo da una sistematica ricostruzione relativa al processo di maturazione delle misure di riequilibrio della rappresentanza, introdotte a tutti i livelli di governo. Tale tentativo di sistematizzazione si soffermerà sul piano dei più recenti interventi legislativi regionali, proponendo qualche notazione sul rendimento effettivo degli stessi. L’elaborazione delle misure in parola – che costituiscono lo spazio normativo utile al fine di esplorare il concetto di “rappresentanza paritaria” – riflette la consapevolezza del legislatore relativa all’assenza, nella pratica politica, di un adeguamento spontaneo a soluzioni antidiscriminatorie, che ha condotto alla convinzione della necessità di introdurre, nel corpo legislativo, delle misure di «discriminazione rovesciata» al fine di attribuire un concreto vantaggio di riequilibrio ai soggetti sottorappresentati (cd. azioni positive). Le stesse, sottoposte al vaglio di costituzionalità, hanno dato l’avvio ad un “percorso riformatore” teso ad estendere la parità di genere a tutti i livelli di governo, coinvolgendo dapprima le autonomie territoriali, per poi declinarsi in una legge di revisione costituzionale di modifica dell’art. 51 Cost. La soluzione legislativa elaborata sul versante delle autonomie è confluita nell’approvazione della legge costituzionale n. 2 del 2001 («Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano») che, intervenendo sugli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale, ha espressamente introdotto l’obiettivo di favorire l’equilibrio della rappresentanza attraverso la promozione (con legge regionale) di «condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali». Per le Regioni ordinarie, invece, l’equilibrio di genere si è declinato attraverso la legge costituzionale n. 3 del 2001: è stato riformulato il testo dell’art. 117 Cost. inserendo, al comma 7, un duplice “vincolo di scopo” che si è tradotto in un impegno per il legislatore regionale di natura dinamica, rivolto a promuovere la parità di genere in ogni campo (potenzialmente) idoneo a determinare una restrizione degli spazi partecipativi… (segue)



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