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Nella rubrica dei grandi temi istituzionali del nostro Paese, la questione regionale continua ad occupare un posto di rilievo. Malgrado gli epocali interventi riformatori degli ultimi decenni, il regionalismo italiano seguita ed essere percepito come una realtà magmatica, caratterizzata dalla costante ricerca di nuovi equilibri, i cui esiti finiscono, tuttavia, per replicare sempre la medesima sensazione di instabilità che trova origine, come dato oramai costante, nei “tre distinti profili: quello storico, quello propriamente istituzionale e quello politico”. A quanto osservato si aggiunga che, nell’ultimo decennio, anche le regioni hanno risentito, in maniera variabile, ma ugualmente sensibile su tutto il territorio nazionale, degli effetti della ‘crisi’ che, pure in questo caso, si è manifestata in crisi delle istituzioni, della politica, ma soprattutto dell’economia. Eppure, nell’esperienza degli ultimi 18 anni, il terreno dei rapporti fra Stato e regioni è stato ampiamente arato e ri-sistematizzato, spesso legittimando spinte centripete, dall’intervento deciso della Corte costituzionale; si è sostenuto, infatti, che “non vi è segmento del diritto regionale italiano sul quale la Corte non sia intervenuta con sentenze – spesso dal sapore “costituente” – [e] che hanno [per di più] indicato la strada da seguire ai legislatori della Repubblica”. Nonostante ciò, in Italia, la definizione di un modello di regionalismo meno incerto è diventato come la tela di Penelope. A guardare, infatti, le vicende del Titolo V, della seconda parte della Costituzione italiana, dopo la riforma del 2001, si ha l’impressione che i legislatori abbiano aderito, con irrimediabile ritardo e inconsapevolmente, soprattutto negli ultimi anni, allo “sperimentalismo” proposto da Arturo Carlo Jemolo settant’anni fa; l’autorevole giurista suggerì, infatti, di concepire la riforma regionale “Come un esperimento da cui si [sarebbe potuto] recedere dopo qualche lustro, se esso non [avesse dato] buoni risultati”. Alla ricerca di maggiore autonomia, l’ultima svolta di questa lunga vicenda ha condotto alcune regioni ad intraprendere il cammino che porta al regionalismo differenziato, ex art. 116, comma 3, Cost.; il percorso atteso, tuttavia, appare prospettarsi tutt’altro che una passeggiata irenica, soprattutto sul piano delle ricadute sui diritti sociali (e fra questi del diritto alla salute in particolare), che rischiano di perdere sulla strada della differenziazione quei caratteri di universalità, essenzialità e fondamentalità che si ergono a garanzia della unità e dell’indivisibilità della Repubblica… (segue)
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