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A poche ore dal Brexit Day, attualmente previsto al 31 ottobre 2019, permane l’incertezza circa le sorti e le modalità del recesso del Regno Unito dall’Unione europea. Come noto, pochi giorni prima del 29 marzo 2019, ovvero la data inizialmente prevista per il recesso, il Regno Unito aveva chiesto una prima proroga del termine biennale di cui all’art. 50, par. 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE) fino al 30 giugno 2019. Nell’ottica del Regno Unito, in tal modo, si sarebbero potute evitare le elezioni del Parlamento europeo, ottenendo comunque più tempo per l’approvazione da parte della Camera dei Comuni dell’accordo di recesso negoziato con l’Unione europea (nel seguito anche “l’Accordo”). Con decisione del 22 marzo, tuttavia, il Consiglio europeo aveva accordato una proroga solo fino al 22 maggio 2019, purché venisse approvato l’Accordo da parte della Camera dei Comuni entro il 29 marzo 2019 (anche in questo modo, peraltro, sarebbe stato possibile evitare lo svolgimento delle elezioni del Parlamento europeo). Detta decisione prevedeva altresì che, in mancanza di tale approvazione, la proroga avrebbe avuto effetto solo fino al 12 aprile 2019, termine entro il quale il Regno Unito avrebbe dovuto indicare al Consiglio europeo «il percorso da seguire» per superare l’impasse. Vista la nuova bocciatura dell’Accordo da parte della Camera dei Comuni, il Regno Unito ha richiesto una seconda estensione del termine ex art. 50, par. 3, TUE: in aprile il Consiglio europeo ha, quindi, concesso una proroga “flessibile” fino al 31 ottobre 2019, la quale sarebbe stata abbreviata al 31 maggio 2019 ove il Regno Unito non avesse ratificato l’Accordo entro il 22 maggio 2019 né, al tempo stesso, tenuto le elezioni del Parlamento europeo conformemente al diritto dell’Unione. Nel maggio 2019, non essendo stato ratificato l’Accordo, le elezioni europee si svolgevano regolarmente nel Regno Unito: pertanto, il termine della proroga rimaneva fissato al 31 ottobre 2019. Nell’approssimarsi di tale scadenza, vi è stato un concitato susseguirsi di eventi che ha tenuto con il fiato sospeso gli osservatori delle vicende Brexit. Il 28 agosto 2019, il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha sospeso (in virtù dell’assenso della Regina) i lavori del Parlamento nazionale fino al 14 ottobre 2019. Il Parlamento britannico, a sua volta, ha adottato una serie di iniziative per evitare il recesso senza accordo (la c.d. Hard Brexit) e ottenere una nuova proroga. In particolare, il Parlamento britannico ha approvato il 6 settembre 2019 una legge per imporre al Governo l’obbligo di richiedere un’ulteriore proroga del termine ex art. 50, par. 3, TUE al 31 gennaio 2020, nel caso di mancata approvazione dell’Accordo di recesso o dell’opzione Hard Brexit entro il 19 ottobre 2019 (il c.d. Benn Act). Il 2 ottobre 2019 Johnson ha presentato una nuova proposta di modifica all’Accordo, diretta a sostituire la clausola di backstop nel Protocollo su Irlanda/Irlanda del Nord, la quale non ha trovato accoglimento. Tale proposta è stata tuttavia l’occasione di riaprire il negoziato con Bruxelles e quindi di giungere all’adozione di un nuovo testo di accordo di recesso, approvato dal Consiglio europeo il 17 e 18 ottobre 2019, nel quale è stato modificato il Protocollo Irlanda/Irlanda del Nord per evitare l’introduzione di una barriera fisica e salvaguardare gli accordi del Venerdì Santo tutelando al tempo stesso l’integrità del mercato interno. Nella stessa occasione è stato approvato un nuovo testo di Dichiarazione Politica riaffermando l’obiettivo di realizzare un partenariato il più stretto possibile tra Unione europea e Regno Unito, una volta che esso sia divenuto un Paese Terzo… (segue)
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