Il tema dell’insindacabilità dei consiglieri regionali è stato oggetto di una progressiva sistematizzazione ad opera della giurisprudenza costituzionale, la quale, a più riprese, ha evidenziato come questa sia posta, in via diretta, alla salvaguardia dell’autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio, e, soltanto in via mediata, indirizzata al componente del Consiglio. La natura essenzialmente “oggettiva” della prerogativa, non posta in dubbio dal Giudice delle leggi, si arricchisce di un importante tassello diretto a definire in termini di maggior rigore il collegamento “essenziale” (o, per così dire, “funzionale”) tra atti insindacabili (deliberati dall’Ufficio di presidenza) e organizzazione del Consiglio, denotando alcuni punti di contatto che – seppur nelle innegabili differenze determinate dalla riconducibilità dell’organo al mero ambito dell’autonomia piuttosto che a quello della sovranità – avvicinano questo approccio a quello da tempo seguito nella giurisprudenza costituzionale per definire gli ambiti “di garanzia” delle Camere. Tale spunto è fornito dalla sentenza della Corte costituzionale, 8 marzo 2019, n. 43, la quale si inserisce nell’ampio solco delle decisioni rese in sede di conflitto intersoggettivo aventi ad oggetto un atto giurisdizionale. La giurisprudenza costituzionale, anche recente, è molto copiosa al riguardo, ma ha visto la Corte concentrarsi prevalentemente su profili distinti da quelli che si intendono esporre in queste osservazioni. Da una parte, come già avvenuto per l’omologa giurisprudenza concernete i parlamentari, le questioni trattate hanno avuto origine dalla responsabilità che i consiglieri potevano o meno assumere in ragione di dichiarazioni lesive da essi rilasciate, vertendo, quindi, su un ambito materiale sicuramente distinto da quello che si vuole esaminare. Dall’altra, grande peso ha assunto la trattazione di questioni più strettamente processuali, concernenti in particolare l’inammissibilità di una supposta efficacia inibitoria delle delibere di insindacabilità adottate dai Consigli regionali, in analogia con le omologhe delibere delle Camere, sulla scorta di una erronea estensione dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003 anche al caso dell’art. 122, comma 4, Cost., ma anche, più di recente, la carente legittimazione ad attivare il conflitto da parte del singolo consigliere che assume lesa la propria prerogativa (spettando tale legittimazione soltanto all’Ente). In questa sede, ci si vuole, però, concentrare su un distinto profilo emergente dalla recente giurisprudenza. Vertendo questa sulla operatività dell’insindacabilità dei consiglieri regionali per le deliberazioni che hanno concorso ad adottare con il proprio voto in qualità di componenti dell’Ufficio di presidenza del consiglio regionale, va, in primo luogo, definita l’esatta estensione di tale garanzia, anche alla luce dei precedenti, contestualizzandola però al nuovo profilo, offerto dalla recente decisione, che coinvolge in senso più ampio l’autonomia organizzativa dei Consigli regionali e la connessione che questa deve avere con le funzioni costituzionalmente riconosciute a tale organo. In secondo luogo, occorre interrogarsi sulle analogie e le differenze che contraddistinguono la posizione dei parlamentari e dei consiglieri regionali quali componenti degli organi di vertice dell’amministrazione, sia per ciò che concerne la loro insindacabilità, sia per il modo in cui questa si connette alle diverse garanzie di autonomia organizzativa (che pare avere un fondamento costituzionale in parte distinto per le Camere e le Regioni)… (segue)
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