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NUMERO 1 - 08/01/2020

 Tirannia dei valori e ragionevolezza della disciplina legislativa sul referendum abrogativo: il caso delle leggi elettorali

“Gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale non possono essere esposti alla eventualità, anche soltanto teorica, di paralisi di funzionamento”; conseguentemente le relative discipline elettorali “potranno essere abrogate nel loro insieme esclusivamente per sostituzione con una nuova disciplina, compito che solo il legislatore rappresentativo è in grado di assolvere”. Con questa lapidarie affermazioni, la Corte costituzionale, nella sent. 29/1987, pose, com’è noto, la pietra angolare del giudizio di ammissibilità dei referendum sulle leggi elettorali, intese quali leggi “costituzionalmente necessarie”. Da allora, malgrado le numerose sollecitazioni in occasione delle svariate iniziative in materia, il nostro giudice delle legge non si è più discostato da tale granitico precedente. L’orientamento, com’è noto, è il corollario che la Corte trae dalla premessa per la quale, nel sistema costituzionale, sussiste la “suprema esigenza di salvaguardia di costante operatività” degli organi costituzionali (o di rilevanza costituzionale). Si tratta infatti di un principio “di fondamentale importanza, in quanto attinente alle garanzie essenziali del sistema istituzionale previsto dalla Costituzione”. Su queste basi la Corte - successivamente - ha contribuito a tratteggiare i caratteri peculiari e, in qualche misura, unici dei referendum elettorali, astretti alla formulazione di quesiti necessariamente manipolativi, “parziali e mirati ad espungere dal corpo della legislazione elettorale solo alcune disposizioni, tra loro collegate e non indispensabili per la perdurante operatività dell’intero sistema”. Ciononostante, per la Corte, i referendum elettorali si confermano perfettamente in linea con i fondamenti teoretici della funzione abrogratrice… (segue)



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