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NUMERO 10 - 15/04/2020

 Crisi della democrazia, taglio dei parlamentari e “trasformazione” del sistema delle leggi elettorali

La tesi più recentemente avanzata circa la crisi della democrazia lancia l’ipotesi che, come tutte le realtà umane, anche essa possa essersi avviata, piuttosto, verso la sua fine. Noi abitatori contemporanei delle democrazie occidentali, però, non riconosciamo a questo possibile esito storico molte probabilità perché pensiamo che il suo verificarsi debba avvenire secondo modalità che erano proprie di fenomeni del secolo scorso come il fascismo, il franchismo, le varie dittature e rivolte sud-americane, ed onestamente, poiché oggi pur nella crisi più grave della sua storia il malessere della democrazia attuale questi pericoli così conformati non li lascia intravvedere, facciamo molta fatica a credere di poterci trovare al cospetto di una situazione che preannuncia la sua estinzione. Se, invece, liberiamo la nostra visione immaginaria del fallimento della democrazia dalla iconografia del XX secolo (carri armati per le vie delle principali città, dittatori affacciati da balconi ad arringare folle plaudenti, proclami di unità nazionale lanciati da radio-televisioni, etc.), allora sì che potremmo considerare in tutta la sua portata quella che è la disaffezione nei confronti dello status attuale della democrazia, certificata anche da un sondaggio internazionale svolto in 27 Paesi il mese di aprile dell’anno scorso da uno dei  think tank più famosi degli Stai Uniti d’America, e cominciare a chiederci se, ad esempio, nella nostra Italia con una percentuale di insoddisfatti del 70% (nel 2018) non si sia più vicini all’esaurimento della capacità propulsiva del cambiamento sociale da parte della democrazia che ad una fase di semplice affaticamento di quest’ultima. Comunque sia, quel che è certo è che da tempo in molti Paesi, specie occidentali, le forze democratiche sembrano o, meglio, sono impegnate nella difesa dello status quo, “mentre le proposte più radicali di cambiamento sociale, che catturano l’immaginario e accendono l’entusiasmo,  paiono provenire da forze di diversa matrice” che si definiscono antisistema. Si tratta, come è facile intuire, di quei movimenti populisti che assecondano le speranze e le paure del popolo e lanciano il loro innovativo messaggio secondo cui “il popolo è virtuoso, le élites sono corrotte, dovremmo lasciare cadere le sottigliezze degli esperti e affidarci al buon senso dei cittadini comuni”. La conseguenza di queste posizioni è presto e chiaramente delineata: la crescita dei partiti estremisti che mostrano tutto il loro scontento per le speranze economiche frustrate; il nascere e moltiplicarsi di movimenti che esternano tutto il loro risentimento per le regole che considerano truffaldine e per gli interessi particolari delle élites facoltose che -pensano- speculino a loro spese. In altri termini, è l’espandersi di quello “stato d’animo” che evidenzia sempre di più la divisione tra popolo ed élites, entrambi percepiti come entità omogenee portatrici di valori ed interessi inconciliabilmente opposti, e soprattutto radica la convinzione che, poiché il popolo è virtuoso, “non c’è motivo per cui non debba governare se stesso e la propria società senza impacci istituzionali”. Insomma, come detto, è l’affermarsi del populismo! Quella formula di governo, cioè, che lungi dal rappresentare un correttivo alle politiche inique ed obsolete delle democrazie liberali odierne, come pretenderebbero i suoi fautori, si presenta con un taglio netto ai legami di intermediazione che intercorrono tra il popolo ed i suoi rappresentanti e finisce per costituire una concreta minaccia alla democrazia tout court. Basti pensare alla delegittimazione definitiva che così ne deriva per i partiti politici e le istituzioni rappresentative ed al nuovo paradigma delle dinamiche istituzionali interamente costretto all’interno del rapporto popolo-leader. Che, peraltro, è favorito dallo sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione i quali, soprattutto nella fase ultima, caratterizzata dalla disponibilità della rete, generano l’illusione di potere assicurare un circuito comunicativo assolutamente bidirezionale tra cittadino e leader politico mentre in realtà simili relazioni dirette tra leader e masse popolari “nascondono involuzioni autoritarie e l’influenza dei singoli cittadini, in una comunicazione mediata dagli strumenti tecnologici oggi imperanti, è pressoché nulla”… (segue)



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