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NUMERO 30 - 04/11/2020

 La recente giurisprudenza costituzionale e la Corte di Cassazione «fuori contesto»: considerazioni a prima lettura di ord. Cass. SS.UU. 18/09/2020, n. 19598. Con postilla a commento di B. Caravita

L’ordinanza delle Sezioni Unite civili della Cassazione che qui brevemente si illustra rappresenta l’occasione per tornare a riflettere sui rapporti tra giudice comune, giudice costituzionale e Corte di giustizia dell’Unione europea. In particolare, il terreno di incontro (e potenziale scontro) tra i diversi livelli di giurisdizione nel caso di specie è di notevole rilievo: con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale in commento, infatti, la Corte di Cassazione tenta di sconfessare la contrarietà all’art. 111, comma 8, della  Costituzione, affermata dalla Corte costituzionale nella sent. n. 6 del 2018, della concezione c.d. «dinamica» della giurisdizione. Nel recente passato gli studiosi avevano potuto constatare un’accentuata diffusione del controllo di legittimità costituzionale. Com’è noto, a questo risultato avevano contribuito plurimi fattori, come l’onere dell’obbligo di interpretazione conforme a costituzione gravante sul giudice comune, la sempre più accentuata incidenza del diritto europeo (e delle pronunce del suo interprete) nell’ordinamento nazionale e delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. Se inizialmente l’attività di demarcazione degli spazi di operatività delle Carte e delle Corti aveva riguardato il sistema della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’ultimo triennio, invece, si è assistito ad una decisa ridefinizione, in senso accentrato, del rapporto tra pregiudiziale costituzionale e pregiudiziale europea e a un’attenuazione dell’onere di non applicazione del diritto interno contrastante con la normativa dell’Unione, nel caso in cui vengano in rilievo dei diritti costituzionalmente garantiti. Alla base delle recenti tendenze della giurisprudenza costituzionale vi sono plurime motivazioni: da una parte, il Giudice delle leggi sembrerebbe aver preso coscienza degli eccessi dell’interpretazione conforme ai diversi livelli della legalità, che in alcuni casi hanno condotto a un tradimento della lettera delle disposizioni legislative da parte del giudice comune, con l’inevitabile lesione del principio di certezza del diritto. Dall’altra, l’interpretazione conforme (a Costituzione, a Convenzione e al diritto europeo) e la possibilità di procedere alla disapplicazione avevano prodotto una marginalizzazione della Corte costituzionale nella tutela dei diritti. In particolare, nella sentenza n. 49 del 2015 la Corte si misura con i rischi, in termini di certezza del diritto, conseguenti all’impostazione abbracciata nelle sentenze c.d. «gemelle» del 2007 (nn. 348 e 349). A differenza di quelle pronunce, in quella in questione si legge che «la questione è inammissibile per l’erroneità del presupposto interpretativo secondo cui il giudice nazionale sarebbe vincolato all’osservanza di qualsivoglia sentenza della Corte di Strasburgo e non, invece, alle sole sentenze costituenti “diritto consolidato” o delle “sentenze pilota” in senso stretto». L’impostazione cristallizzata nel 2015 ha ricevuto conferma e trovato consolidamento in successive decisioni costituzionali riguardanti la revocazione delle sentenze interne nel caso di contrasto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, alcune delle quali, come si vedrà, richiamate nell’ordinanza in commento (v. par. 37). In tale contesto assume particolare rilievo la sent. n. 123 del 2017, in cui il Giudice delle leggi ha affermato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato avente ad oggetto l’art. 106 del d.lgs. n. 104 del 2010 («Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo», d’ora innanzi cod. proc. amm.) e gli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevedevano un pertinente caso di revocazione. In tale occasione, la Corte costituzionale ha concluso che nel nostro ordinamento la riapertura dei processi diversi da quelli penali e il conseguente travolgimento dei rapporti esauriti richiede una delicata ponderazione degli interessi costituzionali in gioco, che non può che spettare al Legislatore. Se quest’ultima decisione è emblematica di un’opera di apposizione di limiti e confini ben definiti rispetto all’operatività delle disposizioni convenzionali e alla possibilità di un’«ennesima» pronuncia di un giudice comune tramite il grimaldello del ricorso agli ordinamenti sovranazionali, la rinnovata centralità del testo costituzionale e della Corte costituzionale è particolarmente evidente nella «saga Taricco», , relativa alla prescrizione dei reati di frode in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA), e segnatamente nel suo atto conclusivo (sent. n. 115 del 2018), in quanto il Giudice delle leggi italiano rivendica l’indefettibilità tanto dei valori costituzionali, primo tra tutti quello della tassatività in materia penale, quanto del suo giudizio nel valutare il contrasto tra questi e la disciplina euro-comunitaria (in pejus) In letteratura, come si vedrà, la «saga Taricco» è stata considerata il primo significativo momento di cesura nel processo di decentramento del controllo di costituzionalità, agevolato dalla diretta applicazione del diritto UE e dal correlativo potere/dovere di disapplicazione per saltum del giudice comune… (segue)



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